Redorta e Coca, splendido trekking orobico.
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Da qualche anno ero intenzionato a visitare le Orobie Bergamasche, ma come tante altre cose che frullano in mente di tanto in tanto era tutto rimasto nel cassetto per varie ragioni che non sto a dire. L'occasione di passar qualche notte in rifugio in compagnia di Ale froloccone permette al cassetto di riaprirsi per magia, sperando in una meteo favorevole, visto che la zona attrae anche lui. Le intenzioni sono ben chiare sin dall'inizio, ma quel che conta è attuarle. Vediamo com'è andata.
1° Giorno
Partiamo con calma in mattinata dalla Valganna, direzione Bergamo e Val Seriana: erano così tanti anni che non venivo da queste parti che ero del tutto all'oscuro di una strada che evita di entrare in tutti i paesi della lunga valle, i quali al tempo si era obbligati a percorrere uno per uno. Bella cosa, a parte una lunga, terribile galleria priva di ventilazione, che si trasforma in una sorta di camera a gas nel caso gli sprovveduti malcapitati si dimentichino di alzare i finestrini per tempo...
"Gasati" a dovere giungiamo a Fiumenero all'ora di pranzo, ove sbrighiamo la ben piacevole "pratica" in una trattoria locale prima d'incamminarci verso il Rifugio Baroni (o Brunone), che guide e segnaletica danno in circa quattro ore di cammino. E quattro ore effettivamente ci sono volute, anche perchè i due escursionisti - totalmente all'oscuro di alcune particolari caratteristiche dell'itinerario - partono dal cimitero di Fiumenero seguendo il lato orografico destro della valle, solcato da un torrente che in realtà è un fiume in piena dopo una settimana di pioggia. La pendenza all'inizio è praticamente nulla e si percorre un'ampia strada forestale che ci porta al primo attraversamento del torrente... Attraversamento? Ale, hai portato le pinne? - No, però ho il caschetto - Bravo, così non ti bagni i capelli.
Due bei cavalli ci mostrano dove attraversare senza troppi danni (la corrente è davvero forte), ma è evidente che la cosa richiede cautela: Già Ale, forte di qualche chilo in più del sottoscritto, pena un po' a passare nel punto critico per la forza dell'acqua, ma alla fine con un provvidenziale cordino riesco a passare pure io dopo esser rimasto forzatamente in mutande (una scena esilarante oltrechè orripilante). Una "inutile precauzione", come nel Barbiere di Siviglia... già, perchè anche gli attraversamenti successivi, attrezzati con catene, non ci risparmiano affatto il bagnetto dalle ginocchia in giù. In tali frangenti ci raggiunge una coppia locale, anch'essa diretta al rifugio, i quali ci dicono di essere beatamente saliti dal sentiero che segue il lato orografico sinistro, evitando dunque il "passaggio in mutande". Indignati della cosa, in tutta risposta io e Ale - pur inzaccherati - li seminiamo in men che non si dica dandogli appuntamento per la sera.
La serata al rifugio scorre piacevole (circa 20 persone ospiti), e caso vuole che sediamo al tavolo proprio assieme alla simpatica coppia bergamasca, impegnata nell'attraversata delle Orobie.
2° Giorno
L'obiettivo numero uno è il Pizzo Redorta.
Non siamo i soli a puntare il terzo tremila orobico in altezza, perchè altri due vispi ed esperti ospiti locali ci precedono di alcuni minuti nella lunga salita che ci porta sotto la vedretta di Scais, dove ci ramponiamo, mentre increduli li osserviamo salire su rocce, canali e sfasciumi malfermi evitando completamente il tratto ghiacciato. La vedretta non è particolarmente irresistibile ed in pochi minuti siamo alla bocchetta, dopo aver depositato zaini e ramponi in totale balia dei detriti che ci toccherà forzatamente far cadere nell'impegnativo tratto su roccia totalmente marcia, assicurato da una corda. Superato l'ostacolo iniziale troviamo ancora problemi, causati dalla roccia scistosa e fradicia, e dobbiamo inventarci la via passando dove ci sembra meno pericoloso: c'è un bel canalino invitante ma non ci fidiamo per lo stesso motivo, e non resta che affrontare alcune placche ben fessurate. Superato anche il secondo ostacolo non rimane che una cresta sfasciumata, qualche aggiramento e un canalino prima che la croce di vetta ci accolga. I nostri due compagni d'avventura, incontrati mentre già scendevano dalla cresta, ci dicono d'aver evitato la vedretta perchè senza ramponi... ah, però. Ci diamo appuntamento per la sera al Rifugio Coca, dove sono diretti anche loro, quindi - goduta un po' la vetta - in discesa incontriamo un signore salito in solitaria che pur avendo superato i due tratti difficili rinuncia alla cima per il timore della discesa. Peccato davvero, ma la vetta stava effettivamente per coprirsi e la sua scelta di scendere insieme a noi si è rivelata senz'altro azzeccata, perchè in montagna è giusto darsi una mano. Con cautela riaffrontiamo i due tratti ostici, ma tutto procede per il meglio e possiamo recuperare l'attrezzatura mezza ricoperta di detriti causati dal nostro passaggio...
Superata la vedretta lasciamo il simpatico "local" a godersi il sole e, di gran carriera, ci riportiamo al rifugio Baroni per un meritato panino.
Ma la strada per il Rifugio Coca è ancora lunga e non del tutto scontata: alle 13,30 siamo in marcia, e dopo un interminabile ma magico e suggestivo saliscendi (spesso attrezzato) tra ganne, sfasciumi, colli e bocchette raggiungiamo la meravigliosa conca glaciale ove riposa lo splendido Lago Coca, uno dei più bei laghetti alpini visti sinora. Alle 18 in punto siamo all'agognato Rifugio Coca, ritrovando i due superman locali (che tanto per gradire il giorno dopo si "berranno" un bel percorso aereo di cresta comprendente Dente di Coca, Arigna e Pizzo Coca, mica robetta da nulla), i quali ci accolgono festosamente. Anche oggi è stata dura, e la traversata alla lunga mi ha "provato", ma la fatica ci ha permesso di godere una superba giornata in una cornice di montagna indescrivibile.
3° Giorno
L'obiettivo numero due è ovviamente il Pizzo Coca, massima elevazione delle Orobie bergamasche.
Anche oggi non siamo i soli a puntare in alto, e caso vuole che stavolta siano i nostri vicini di tavolo al Rifugio Coca a precederci sull'ambita cima, un padre coi due giovanissimi figli, a quanto pare già ben avvezzi vista cotanta montagna. Ma oltre a loro osserviamo alcuni stambecchi intenti a dominare la conca del lago, che sono lo spettacolo nello spettacolo... Giungiamo senza problemi (io sarei un po' stanchino invero, ma non mi sembra il caso di mollare sul più bello) alla Bocchetta dei Camosci, e come il giorno prima scegliamo di depositare l'armamentario prima di affrontare gli ultimi 330 metri di cresta. Dopo esserci rifocillati in vista dell'ultima fatica affrontiamo la cresta, che parte subito bella in piedi e ci costringe ad affrontare qualche bel passaggio di I° e II° grado, fortunatamente su una roccia solida e ben diversa da quella affrontata sul Pizzo Redorta il giorno prima. Il resto della cresta, totalmente bollata, affronta altre zone rocciose, canali franosi, placche, cengie e passaggi lievemente aerei che tuttavia offrono meno problemi, anche se la fatica "morde", e la vetta è così raggiunta. Il panorama è ancor più sontuoso che dal Pizzo Redorta, e la soddisfazione davvero forte: il Pizzo Coca è splendido e merita pienamente la sua fama di cima ambita e sofferta.
Affrontiamo la discesa insieme al terzetto, ma appena partiti incrociamo due persone che salgono separatamente (di cui uno tedesco), il primo dei quali praticamente scende subito unendosi a noi e "facendo gruppo", visto che i due ragazzini (davvero bravi, tra dieci anni saliranno al K2 se continuano così) vanno comunque tenuti d'occhio non solo dal loro padre, e si resta assieme per evitare di farsi scivolare sassi addosso. I passaggi di II° grado risultano meno rognosi in discesa che in salita, e tutto procede come dovuto, poi sostiamo e mangiamo alla bocchetta, separandoci dai nostri compagni di discesa che proseguono oltre. Ripartiti, raggiungiamo di buon ora il Rifugio Coca, e non ci resta che la ripida discesa a Valbondione, resa più avventurosa (tanto per cambiare, in questi tre giorni non ci siamo certo annoiati) dal fatto che il sentiero normale era reso parzialmente impraticabile dall'acqua, e i gestori del Rifugio Coca avevano di fretta e furia decespugliato alla meglio un altro viscido tratto di sentiero assistito da malmesse ed arruginite catene per permetterne l'accesso in salita e discesa, altrimenti sarebbero rimasti isolati (e senza clienti). La fatica alla fine si sente eccome, e mai come in questa occasione l'arrivo a valle è stato benedetto da entrambi... Peccato che la macchina sia a Fiumenero e ci siano ancora quasi 5 chilometri da percorrere: fortunatamente abbiamo tempo a sufficienza per un panino ed aspettare un comodo bus che ci riporterà al nostro punto di partenza.
Orobie, avventura, bei rifugi, escursionisti simpatici e un po' "matti", Redorta, Coca.
Tutto davvero magnifico e, se possibile, da rivedere. Grazie ad Ale, al quale rivolgo il solito "Avanti così".
froloccone
Davvero belle queste Orobie!!!!Tre giorni indimenticabili,ricchi di belle persone, passi ,vette,laghi e stambecchi!!!!! I Bergamaschi???Persone" toste "e "genuine"!!!! La meteo quasi perfetta ci ha fatto assaporare in pieno,questo "angolo di paradiso".Una menzione speciale ai due rifugi,consigliatissimi per trattamento,cordialità, rapporto qualità/prezzo e per l'ottima cucina...................Un saluto a tutti quelli incontrati,se ci leggeranno.


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