Pizzo Piano d’Ört (2327 m) – SKT
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Meteo incerta ma alla fine prevale “l’abbastanza soleggiato”: anche se il sole si fa un po’ desiderare, nel momento buono appare, differentemente dalla zona del Verbano. Dunque scelta azzeccata, la Leventina.
Mi propongo di andare a visitare una cima poco conosciuta e, probabilmente, anche poco frequentata: il Pizzo Piano d’Ört, che incombe sopra Ambrì come le altre due cime maggiori, il Poncione di Tremorgio ed il Pizzo di Mezzodì.
La salita fino a Stabbiello (2025 m) coincide con quella, già fatta, del citato Poncione di Tremorgio: quindi non starò ad annoiare nessuno. La traccia è buona e la neve è polverosa-compatta sulla stradina, a causa dei numerosi passaggi.
Raggiunta poi la cascina di Stabbiello, semisepolta dalla neve, avendo mal interpretato le indicazioni del Gabuzzi faccio una lunga ed inutile pascolata nella zona del motto quotato 2063 e nelle zone a sud di esso, con una cinquantina abbondante di metri di dislivello persi (non inseriti nel computo totale). Il Gabuzzi dice di piegare a sud-est: io, errando, piego invece a nord-est, tratto in inganno dal fatto che la gita è già rivolta a nord e quindi la direzione prevalente è “sud”.
Chiarito l’equivoco e tornato a Stabbiello con discesa su polvere (ma con le pelli sotto gli sci), riprendo la traccia che va al Poncione di Tremorgio per abbandonarla subito dopo e, con manovra aggirante, portarmi immediatamente sotto la piramide quotata 2223 m. Da qui non ci sono tracce preesistenti e quindi la mia linea solca la polvere con moderato affondamento.
Il grigio diffuso che già mi ha accompagnato fin qui si infittisce, ma la meta, pur con contorni poco definiti, mi appare davanti. Raggiungo la selletta sotto la piramide e proseguo nel whiteout più totale: non è la nebbia a crearlo, bensì la luce grigia che pervade tutto. In alcuni tratti non riesco nemmeno a capire se sto procedendo in salita, in pianura oppure in discesa. In ogni caso rimango più largo di quanto dice il Gabuzzi: praticamente contorno tutta la conca del Piano d’Ört, avendo come unico riferimento (la cima ormai è invisibile, confusa nel grigio-bianco che tutto avvolge) le ultime rocce che costituiscono la base nord del Pizzo di Mezzodì.
Le difficoltà tecniche che giustificano il PD+ del Gabuzzi si concentrano tutte nella parte finale: con un traverso su un pendio presumibilmente di 35° (Gabuzzi) raggiungo la sella che anticipa la cima. Alla mia destra appare evidente un corno bianco che scende dal Pizzo di Mezzodì; davanti a me (quindi a sinistra) c’è una breve anticima che raggiungo subito. Qui giunto, un breve raggio di sole mi indica la cima effettiva, poco più avanti. La quota è probabilmente identica; comunque, prestando attenzione alle cornici, procedo in direzione nord e vado a toccare anche la cima effettiva del Pizzo Piano d’Ört, a picco sul fondovalle leventinese.
Per cambiare assetto torno comunque sull’anticima, con un breve saliscendi (in realtà “scendi-sali”). Durante queste operazioni la luce cambia leggermente e appare un po’ di sole. Questo naturalmente mi rincuora in vista della discesa. C’è polvere, ma non troppa (sotto c’è un fondo duro): forse anche per questo non riuscirò a godermi appieno la discesa, a causa del riaffiorare del dolore alla caviglia destra. Le stesse curve, quando il piede d’appoggio è quello citato (quindi le curve verso sinistra) risultano più problematiche rispetto a quelle dalla parte opposta. In ogni caso, terminata la mia razione giornaliera di lamentele e re-inquadrata nell’ottica corretta la giornata, posso dire di aver trovato una bella neve polverosa e di aver scoperto un’affascinante montagna ancora un po’ avvolta nel mistero. E in ogni caso, avercene di discese così…
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