Tabor, 2079 - Marnotto, 2088 - Bregagno, 2107 - Pianchette, 2158
Era da un po’ che avevo in mente di dare un’occhiata alla cresta tra Pizzo di Gino e Bregagno e la visita di heliS e Luca_P al Tabor www.hikr.org/tour/post64378.html mi ha rinverdito il pensiero, aiutandomi anche, (grazie!), a valutare la situazione.
Pancho è titubante.
“Troppa neve”... e si sbaglia, anche se non del tutto.
“Non ho voglia di stare in macchina” ... e come dargli torto?
“Sasso Gordona dalla Val di Muggio e rientro dal Bisbino con la bici” ... già fatto al contrario lo scorso anno ... www.hikr.org/tour/post49081.html
Va beh, ci si vede ...
Svicolone è altrove.
Capitan Piero, senza sci, non va neanche a teatro.
Insomma, mi lasciano solo.
Non è un dramma: in altri tempi era condizione abituale.
Camminando, si fa del gran scambiare opinioni tra sé e sé e, alla fine, torni giù un po’ rincoglionito dalle balle che ti sei venduto; ma non si soffre di solitudine.
Tempo per perdermi in chiacchiere solitarie, oggi, me ne avanzerà: dopo un'ora di macchina, incamminatomi da Tecchio, un quarto d'ora prima delle otto, non incontrerò nessuno fino al culmine dell'anello, in vetta al Bregagno. Dove, per far uscire dalla bocca, dell'altro avventore incontrato, una parola diversa da "Buongiorno", dovrò chiedergli cortesemente l'ora.
Solitari e poco socievoli orsi di montagna, direbbe Francesco.
Comunque, come detto, non mi dispiace; mi godo la camminata, i panorami e la giornata, che parte splendida e, tutto sommato, reggerà bene fino all'ultimo.
Salgo spedito con la fotocamera a tracolla, concedendo pochi secondi a ciascuna delle numerose foto
e solo uno sguardo al Rifugio croce di Campo, che, del resto, sembra chiuso.
La cresta per le Pianchette è, cosa abbastanza abituale per lei, battuta da un vento furioso; ma non mi spavento perché ho intenzione di abbandonarla presto, imboccando il più basso dei due sentieri, già ben individuabili,che si dirigono verso il Tabor e il Bregagno solcando il pendio sud della montagna.
Lì, la situazione migliora subito, anche se l’aria resterà fresca per tutta l’avventura.
La traversata procede senza intoppi per un buon tratto, finché, con il lento ruotare dell'esposizione, mi imbatto in un primo canale, ripido e ben innevato.
La "maledizione di Pancho"! Ma, come detto, Pancho si sbagliava, anche se, le operazioni di attraversamento richiedono qualche minuto di calcioni ben assestati per garantirsi degli appoggi sicuri.
Poco dopo, un secondo canale, che aggiro alzandomi un po' di quota. Poi un terzo che, salendo ulteriormente, attraverso in un punto stretto e con neve già frolla.
Il quarto, largo ma ripido canale comincia bene, ma, a metà del guado, la neve diventa veramente dura; "qui, parto..."; retrocedo di qualche passo e salgo verticalmente nella neve più praticabile, finché la situazione non migliora. A questo punto, mi sono ormai portato sul sentiero alto, che mi conduce, senza più problemi alla Bocchetta di Sebol.
“Cominciamo a fare il Tabor, poi vediamo”
In effetti, anche se il Bregagno era fin dall’inizio un obiettivo, non sono partito con delle certezze, anche perché non posso rientrare eccessivamente tardi.
Da queste parti sono stato un po’ di volte, ma sempre con gli sci e solo su Pianchette e Pizzo di Gino, per cui non conoscendo bene la zona, non so bene cosa aspettarmi come difficoltà e tempi; dalla cima del Tabor, riesco a valutare meglio la situazione: il Bregagno è là non troppo vicino, ma neanche fuori portata. Mi rendo conto che c’è ancora parecchio da fare, (devo anche tornare indietro!), ma non sono ancora le 10 e, se ci ho messo due ore ad arrivare qui, dovrebbe bastare qualcosa meno per arrivare là.
Cominciamo a fare il Marnotto, poi vediamo ...
In realtà, a questo punto, la decisione è presa; dopo un rapido giro di fotografie, scendo, scavalco un altro grugnolo, Simmetral, scoprirò, scendo ancora e giungo alla Bocchetta di Aigua. Quando arrivo in cima al rialzo successivo, mi rendo conto di non essere sul Marnotto, ma sulla quota 2060 della Carta Nazionale Svizzera, che non noma molte delle cimette della cresta, che invece, riscontrerò, hanno tutte un nome per la mappa di Hikr. Motto d’Aigua, in questo caso.
Il Marnotto è poco più in là, ma, scendi e risali, se ne vanno altri venti minuti.
Tra il Marnotto e il Bregagno, la via si fa leggermente più impegnativa: in numerosi casi, tocca usare le mani, ma siamo sempre nell’elementare e l’esposizione non è mai severa.
Un’altra cosa che noto è che in parecchi punti il sentiero, dove corre in costa su pendii erbosi, mostra evidenti crepe e segni di cedimento.
Superato anche il Mottone di Rozzo, approdare al Bregagno è ormai una formalità; dopo tre ore e quaranta di cammino sono finalmente al cospetto dell’inguardabile croce di vetta. Ero stato qui una decina di anni fa, con Guido e Mirtillo al termine di una “corsa” dai Monti di Breglia, ma non me la ricordavo.
Un po’ di foto e, augurata buona discesa al mio riservato compagno di vetta, che mi risponde con un grugnito, mi dedico, ricalcando a ritroso buona parte dei miei passi, alla via del ritorno.
Evito, però, di ripassare dalla cima del Monte Tabor e , ritrovandomi un nevaio da attraversare, anche se non sembra particolarmente problematico, decido di riporre la macchina fotografica nello zaino: è tutto il giorno che sono assordato dai fischi delle marmotte, senza che mi sia riuscito di “beccarne” una sola; vedrai che adesso arriveranno a rosicchiarmi le suole!
Mi sbaglio! Quattro minuti dopo, approdo alla Bocchetta di Sebol dove trovo una volpe che se ne sta seduta a leggere i cartelli indicatori e mi lascia il posto allontanandosi, neanche precipitosamente, lungo la cresta che porta al Tabor. Non ci provo neanche e sorridendo tra me, all’idea che cavalli e un pastore tedesco, resteranno le uniche “prede” di giornata, mi riavvio.
Per oggi, l’ultima “preda”, di quelle che stanno ferme, è la Cima Pianchette; meglio cominciare ad alzarsi un po’... Mi sciroppo un centinaio di metri di salita per pratone e ritorno in cresta, per non abbandonarla più, in una sequela di saliscendi, fino all’obbiettivo finale.
Il secondo incontro della giornata, mi accoglie sulla vetta con un caloroso saluto, qualche domanda, parecchie risposte, aneddoti, consigli e considerazioni assortite. Come è varia la razza umana.
“Da dove arriva? Ah, bravo, pensi che io, sono di San Bartolomeo, facevo San Bartolomeo/Pizzo di Gino in un’ora e zero otto...” , mi appoggia confidenzialmente una mano sulla spalla, “ Sì, ma ... quarantasettechili fa ... guarda là, la strada per il Sant’Jorio, è tutta pulita, pensavo ci fosse più neve ...”, sfodera un gigantesco binocolo, “non si vedono cervi ... saranno bassi ... trovano ancora poco. Al Pizzo di Gino? vada, vada ... ma no, un’ora? ... no, no ... quaranta minuti forse ... sì, ma deve stare alto, lo vede il sentiero lì in cresta? Mica scendere fino a Piazza Vacchera ...”
Ringrazio il mio simpatico interlocutore, ma lascio perdere. Non che non ci avessi pensato, ma sono le due e mezza e, per scendere, non ho ne bicicletta ne sci: finirei con il far sera. Senza tralasciare il fatto che la cresta per il Pizzo di Gino sarebbe un tratto decisamente più impegnativo della media di giornata.
Un’altra volta.
Mi rendo conto di rischiare l’espulsione, per prolissità, da questo tollerantissimo sito, per cui risparmio narrazioni strappalacrime su ginocchia, caviglie e unghie dei piedi.
Sono sceso alla macchina. Punto.
P.S.:
Geo Patacca, che ruba sempre metri sulle quote delle cime, è, al solito, roboante con i dislivelli, 1806 metri!
Se però si analizza tratto per tratto la traccia, sembra avere ragione lui.
Che abbia ragione anche sulle cime?
Partenza, 1325 7.40
Croce di Campo, 1741 8.20
Cresta/Sentiero basso, 1830 8.30
Monte Tabor, 2079 9.40
Bocchetta d’Aigua, 1958 10.05
Motto d’Aigua, 2062 10.15
Bocchetta di Galandino, 2032 10.25
Monte Marnotto, 2088 10.35
Mottone di Rozzo, 2066 10.50
Bregagno, 2107 11.20
Mot Rasia, 2123 14.00
Cima Pianchette, 2158 14.30
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