Como - Palanzone, 1436 - No carbon - Per Brunate con discesa dall'Alpe del Vicerè
|
||||||||||||||||||
Come accaduto lo scorso anno, le incertezze meteorologiche portano ad accantonare silenziosamente gli sci.
Oddio, c'è anche un po' di pigrizia: trasferte di due giorni e levatacce si scartano per via del meteo incerto, ma non è che siano amate.
Allora ci soccorrono le buone montagnette di casa che, affrontate con il dovuto spirito, sanno ricompensare i fedeli con soddisfazioni che non si limitano a quelle garantite dal maggior numero di ore passate sotto le lenzuola.
E' un po' come trovarsi con gli amici, ripetere vecchi "adagio" o l'ultimo "tormentone" e leggere, nei volti conosciuti, i segni del lento mutare delle fisionomie e delle personalità.
Ma, se vogliamo essere più prosaici, semplicemente, la montagnetta di casa, (ricordiamoci sempre che, lei, manco sa che esistiamo), affrontata senza eccessivi investimenti in tempo e denaro ci consente di incassare con con più serenità l'eventuale acquazzone o il panorama negato, traendo piacere dalla semplice ripetitività della fatica all'aria aperta.
Il Palanzone, anche lui, non sa che esisto e, del resto, se anche, sarebbe comprensibile che si sia dimenticato di me: a ben pensarci, credo di essere salito in cima solo una volta. E si conta a decenni.
Anche allora c'era la bici, un rampichino, ad alto contenuto ferroso, del primo boom, lasciato volentieri a riposare, alla Bocchetta di Palanzo, prima del balzo finale.
Sceso in centro da casa, parto con Pancho, poco prima delle nove, maltrattato da subito dal solito strappo di via Rezzonico, che dà il via al percorso che ricalca quello per il San Primo di diciotto mesi fa www.hikr.org/tour/post43111.html, avendo, però, la compiacenza di fermarsi un po' prima.
Nove, conosciutissimi chilometri di asfalto, ci portano, attraverso Brunate, al piazzale CAO, da dove inizia la carrareccia, dapprima cordiale, poi variamente malmostosa che, con altri tre chilometri e una rude impennata finale nella nebbia, ci porta alla sella sotto il Boletto.
Una bella fetta di salita è già alle spalle; in leggera discesa, ci apprestiamo ad aggirare il Boletto. Mentre, pedalando languidamente, armeggio con la compatta per cercare di carpire alla nebbia una fetta di lago .... “ Attento a sinistra; a sinistra!” Il tempo di appoggiare il piede e mi sfrecciano, sulla sinistra appunto, tre assatanati “tutina” del pedale che piombano sul mio socio cogliendolo in mezzo al “guado” di un gruppo di roccette affioranti: due lo passano rimbalzando come palle da ping pong sui sassi; il terzo si pianta quasi, appoggia il piede, gratifica l’incolpevole Pancho di una feroce occhiata di disgusto e se ne va all’inseguimento dei compari.
Meditando sulla nostra limitatezza ciclistica, raggiungiamo la Bocchetta di Molina e percorrendo il lungo, bellissimo Sentiero dei Faggi,
impreziosito, perfino, da qualche raggio di sole, pedaliamo, (a volte spingiamo) verso la nostra meta. Bocchetta di Lemna, Bocchetta di Palanzo; un ultimo sforzo e siamo al Rifugio Riella.
Appoggiamo i velocipedi e, sotto qualche goccia di pioggia, (ma, alla fine, ce l’ha fatta buona), ci avviamo verso la vetta del Palanzone.
La raggiungiamo in meno di venti minuti, in compagnia di un simpatico signore, discretamente avanti con gli anni, che, appena arrivato, si scola un bicchierino (neanche tanto “ino”) di grappa.
“Rimette in circolo le coronarie”
... qualunque cosa, questo significhi da un punto di vista medico.
Ridiscesi al Rifugio, schiviamo, con eroica determinazione, salamelle, polente uncie e stinchi di maiale e ci avviamo verso casa.
Riguadagnata la Bocchetta di Lemna “da basso”, crocevia di sentieri,
affrontiamo la breve, ripida salita che porta alla Bocchetta di Lemna “di sopra”,
posta al vertice della dorsale a ferro di cavallo che corre dalla Torre del Broncino alla Croce Pessina, passando dal Bolettone, prima e dalla Croce di Maiano, dopo.
Da lì, ami la bicicletta. Una lunga, godibilissima discesa, passando, quasi subito, dalla Capanna Mara (affollatissima), dal Rifugio Cacciatori, e dall’Alpe del Vicerè, da dove dell’ottimo asfalto ci catapulta su Albavilla.
Chiudiamo con la calata su Como, lungo il bel percorso “verde” disegnato sulla vecchia tramvia Tavernerio/Como; in centro, saluto Pancho e mi arrampico verso casa.
Bel giro. Non eccessivamente impegnativo ma di grande soddisfazione. Sfruttando la funicolare, “ci sta” anche a piedi.
Kommentare