Sasso del Pino (1996 m): giro circolare tra Valle di Campo (CH) e Valle Cravariola (I)
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Avevo in mente un’altra meta per oggi. Ma lo sguardo della sera precedente dal Lido di Cannobio verso le montagne valmaggesi (Pizzo d’Orgnana in primis) mi ha fatto cambiare meta, visto che il livello della neve sui versanti sud era fissato attorno ai 2100 metri. Naturalmente, a fine gita, un giorno più tardi, volgendo lo sguardo nuovamente verso il Pizzo d’Orgnana, non c’era più un filo di neve!
In ogni caso queste valutazioni (che hanno soltanto rinviato di qualche giorno la gita prevista) mi hanno permesso di scoprire una zona molto interessante, selvaggia e quasi dimenticata dagli hikrs e dagli altri amanti della montagna.
Lo spunto è stato comunque di tipo scialpinistico: avendo “bucato” lo scorso inverno una gita a causa del terreno selvaggio che mi aveva impedito di trovare la retta via verso l’Alpe Stufa, il primo obiettivo era di trovare questo sentiero e di fare conoscenza con il terreno in vista di una probabile futura gita con gli sci da intraprendere nella prossima stagione invernale. Sugli sci non si improvvisa, le gite vanno preparate per tempo!
Parto dunque da Cimalmotto e seguendo il sentiero che porta verso il confine con l’Italia, perdo leggermente quota fino a Pianca (1366 m) dove, subito dopo il ponte, vengo accolto da una kota lappone (o, volendo, un tepee indiano) seguita poi da una seconda kota poco più avanti. La zona si chiama Balm da la Rossa, evidentemente ha qualcosa a che fare con i pellerossa e popoli affini… Proseguo, passo il confine senza accorgermene e, nei pressi del guado sul Rio Colobiasca, dove un cartello del CAI indica la direzione verso il Passo della Fria, capisco l’errore invernale: il sentiero prosegue oltre il fiume in direzione W. Con qualche acrobazia e fortunatamente senza finire nell’acqua guadagno la riva opposta e inizio la salita. Seguo il sentiero (segnalato con rari bolli rossi) fino a Corte Nuova (1696 m); qui lo abbandono per una salita diretta, prima nel bosco e poi su terreno libero, fino all’Alpe Stufa (1879 m). Gabuzzi e Cavallero consigliano, nella loro guida scialpinistica, di salire verso l’Alpe Venanzio: per i miei fini odierni questa meta è sovrabbondante, oltre che sommersa dalla neve (ahimè, qui non è pieno Sud e non siamo nemmeno alla latitudine del Pizzo di Corbella…). Il mio obiettivo è di prendere quota sufficientemente per poter affrontare l’unico passaggio possibile verso la linea di confine, un ripido canalino che dovrebbe situarsi nei pressi del Sasso del Pino, almeno così sembrerebbe da questa visuale…
La CNS riporta 7 riali che vanno a confluire nel Rio della Stufa: in realtà, data la meteo dei 2 mesi precedenti, mi toccherà passarne almeno 40, di cui molti coperti dalla neve. Il lungo traverso a forma di semicerchio che unisce l’Alpe Stufa al Sasso del Pino mi costerà quasi 3 ore di fatica nelle condizioni odierne. Probabilmente, in estiva tout court, la difficoltà non supera il T3, al massimo T3+. Io, a oggi, devo optare per un T4+ ed almeno un I°. La neve non è moltissima sulla curva di livello dei 2020-2040 ma abbastanza per dare fastidio e rendere scivoloso ogni passo. Inoltre, il miglioramento meteo ventilato non si palesa, anzi, oltre al cielo plumbeo spira un vento gelido che mi costringe ad un abbigliamento niente affatto estivo. Come detto, in questo traverso trovo le maggiori difficoltà di giornata, ogni passo va ben ponderato perché sotto la neve potrebbe scorrere l’acqua che scava la neve stessa. I saliscendi non si contano, ma l’individuazione del canalino perlomeno è corretta: approssimandomi noto che lo sbocco superiore del canale è segnalato con due pietre verticali, impossibili da non vedere. Risalito il canale arrivo in cresta alla quota 2028 e, come già mi era capitato quest’anno alla Rupe del Gesso, raggiungo la cima odierna, il Sasso del Pino (1996 m), in discesa. La vetta è semplice, con un bell’omone di pietra e con un cippo confinale recante la data del 1929. Fortunatamente la mia prossima meta, l’Alpe di Magnello, nuovamente in territorio elvetico, è ben visibile. Opto per la direttissima in direzione NE, tra rocce, ginepri e rododendri (si potrebbe anche scendere il pendio a E, ma poi dovrei ritraversare sulla neve, per oggi basta così!). Con poche deviazioni dalla linea ideale raggiungo l’Alpe di Magnello (1808 m), dove mi fermo per il pranzo (mi imbatto anche senza volerlo nel bivacco che, fortunatamente, mi ripara dal forte vento che nel frattempo si è alzato). Per completare il giro circolare, decido a fine pranzo di scendere verso sinistra sul sentiero alto, che oltrepassa subito il Ri di Magnello proseguendo poi fino a Cimalmotto attraverso il Monte dei Fantitt (“caricato” con dei bei porcellini) ed il Monte dei Borgnói (caricato normalmente con delle bovine).
Gita splendida, adatta in particolare agli amanti della wilderness e dei giri senza sentiero. La visione dei canaloni N del Pizzo dell’Alpe Gelato fa sognare, ma riporta anche alla realtà ed al confronto con i propri limiti.
Tempo totale: 7 ore. Dettaglio:
Cimalmotto – Alpe Stufa - Sasso del Pino: 5 ore
Sasso del Pino – Alpe Magnello: 45’
Alpe Magnello - Cimalmotto: 1 ora e 15’
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