Valle Cannobina dall'alba al tramonto
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Con un bollettino valanghe che fino a dodici ore prima dell’escursione annuncia un livello 4 (forte pericolo) rientrato poi a 3 (marcato), a malincuore mi tocca riporre sci e pelli e pianificare di conseguenza, restando lontano da neve e vette.
Improvvisamente si materializza l’idea del giro integrale della Valle Cannobina, da sud-est a nord-ovest e ritorno dall’altro versante, ripercorrendo i sentieri che avevano visto i passi di Carlo Borromeo alcuni secoli prima.
Il giro previsto segue infatti quasi integralmente il percorso chiamato “Circuito di San Carlo”, in onore della visita pastorale che il vescovo santo effettuò nel 1574. Anzi, visto che in quegli anni non esisteva sul fondovalle l’attuale Strada Provinciale della Valle Cannobina (SP 75), erano proprio questi sentieri ad essere chiamati “Strada Borromea” e a mettere in comunicazione i vari paesi della valle.
Parto prestissimo, alle 6.00, visto che la pianificazione di questa gita sulla carta prevede uno sviluppo di 37 km con una durata approssimativa di 13 ore (alba e tramonto a queste latitudini ed in questa data avvengono rispettivamente alle 06.32 e alle 18.33: sembrano orpelli inutili, ma come si vedrà, in una gita del genere è opportuno conoscere in anticipo le effemeridi).
“(…) si passa per Traffiume ove si prende la strada mulattiera lungo la riva sinistra del Cannobino fiancheggiando precipizi e incontrando qua e là piccole cappelle, dopo aver attraversato su d’un ponte il riale di Cavaglio si arriva per degli zig zag a Cavaglio San Donnino (…) “ da Guida illustrata del Lago Maggiore, AAVV 1910, descrizione, come anche le prossime, posizionata su dei cippi descrittivi lungo tutto il circuito.
Da Cavaglio a Gurrone passo per la via più breve, la strada asfaltata, molto ripida ma anche molto veloce. Da qui mi inoltro nel bosco, e proprio quando arrivo di fronte a Crealla, qualche metro sopra di me vedo fuggire due caprioli a grandi balzi. Proseguo e il sentiero piega decisamente verso nord, lasciando intravedere le sentinelle della valle, i Gridoni e la Zeda. Passo il Ponte sul Rio Ponte che scende dal Monte Zuccaro e mi inerpico fino a raggiungere la strada che sale a Spoccia. Qui una coppia di camosci si allontana dal sentiero al mio passaggio, ma in modo meno impetuoso rispetto ai caprioli avvistati poco prima. Al culmine della salita evito l’ingresso in paese e svolto invece a sinistra sulla strada asfaltata per un breve tratto, rientrando poi nel bosco al primo tornante in direzione di Orasso.
“Potrebbe forse esser noioso l’aver scritte certe minuzie (…) ma ciò il feci per dar qualche estensione a questo piccolo appendice e perché piacciono agli amatori della sua patria anche le tenui memorie” da “Passeggi istorici al borgo e pieve di Cannobio”, Giuseppe Maria Grandazzi, 1798
Questa gita è tutta un saliscendi, per cui valico il rio Orasso su di un bel ponte di pietra con delle recentissime protezioni lignee – a proposito, devo assolutamente lodare il lavoro di manutenzione di questi sentieri: salvo alcuni tratti un po’ pericolosi, principalmente per la scivolosità causata dalle recenti piogge, sono davvero in ordine, curati e sicuri – e mi innalzo verso l’omonimo paese, uno dei più belli della Valle.
“Da Spoccia, discendendo per ronchetti, si ripiglia la via maestra per cui, incontrando cappellette divote e passato il ponte di vivo sul riale che sbocca da monti Gridaoni o “fra Orridoni” quindi risalita l’erta, eccoci alla chiesa di San Materno” da “Passeggi istorici al borgo e pieve di Cannobio”, Giuseppe Maria Grandazzi, 1798
Mi inoltro per le viuzze di Orasso, molto caratteristiche, finché sbuco, a fine paese, all’Oratorio del Sasso (in dialetto “giasa vegia”), l’oratorio più antico della Valle Cannobina, risalente al 14° secolo, dedicato alla Madonna della Cintura, protettrice dei viandanti, e dal quale si gode di una bellissima vista sulla Nord del Monte Zeda.
Nel bosco successivo fanno bella mostra di sé tre “püzz du cavan”, vasche per la macerazione della canapa, Cannabis sativa, da cui il nome Cannobio (anche se esiste una forte corrente in favore dell’etimo traente origine dai canneti che un tempo occupavano la foce del Cannobino): comunque in valle, già dal Medioevo, come attestato dagli statuti comunali di Cannobio del 1200, si coltivava la canapa, una grossa pianta erbacea dai cui steli si otteneva una fibra tessile molto resistente, adatta per confezionare biancheria personale e per la casa, calzature – i caratteristici pedù – corde e sacchi): la macerazione di abbondanti quantità di fibra vegetale comportava l’emissione di cattivi odori, per questo motivo i pozzi si trovavano lontano dalle abitazioni.
“Dopo breve scorsa e cappellette arriviamo dalla Valle di Varigio, confinante, ad un altro riale detto “all’Eira” ove sono mulini; indi a Cursolo, terra di vista allegra e l’ultima della valle Canobina” da “Passeggi istorici al borgo e pieve di Cannobio”, Giuseppe Maria Grandazzi, 1798
In breve raggiungo Orasso, che fronteggia Gurro, il paese più popoloso della valle (se si esclude Traffiume, che è già praticamente sul piano) e mi dirigo, su strada asfaltata, verso le gallerie che portano a Finero. La prima, abbastanza corta, sono costretto a passarla all’interno, la seconda la evito rimanendo sulla sinistra, sulla vecchia strada a precipizio sul Cannobino: qui incontro il monumento in ricordo dell’imboscata del Sasso di Finero del 12 ottobre 1944, in cui morirono i due comandanti partigiani Alfredo di Dio e Attilio Moneta, colpiti da raffiche di mitragliatrici sparate dalle avanguardie tedesche appostate sopra l’imbocco della galleria. Proseguo e mi reimmetto sulla provinciale per un breve tratto, fino a Creves, piccolo raggruppamento di abitazioni nei pressi di Finero, sovrastato da un bellissimo bosco di pini mughi e più sopra anche da un magnifico bosco di pino silvestre.
Qui abbandono l’asfalto e scendo a guadare per la prima volta (la seconda sarà a Sant’Anna presso Traffiume a pochi minuti dalla fine dell’escursione) il Cannobino, su di un bel ponte di pietra, entrando così nel Parco Nazionale Valgrande. Risalgo il versante opposto e dopo circa 5 ore e mezza di marcia mi fermo a Provola per una mezz’ora sotto il sole caldo a ritemprarmi con birra e panino. La Scheggia (2466 m) e la Pioda di Crana (2430 m) chiudono l’orizzonte a nord regalando al paese di Finero una degna cornice.
Dopo il rapido pasto riparto in direzione di Daila, altro alpeggio situato ancora nel territorio del parco Valgrande, in una zona caratterizzata dall’abbondanza di ginepri di ragguardevoli dimensioni, e dal particolare sviluppo “in altezza”. La temperatura è senz’altro prossima ai 20° promessi dal Pierna, visto che si sta bene in maglietta: l’orientamento a sud di questo tratto di sentiero, inoltre, amplifica l’effetto “estate”. Proseguo attraversando parecchi ruscelli e superando alcuni passaggi resi difficoltosi dalle recenti piogge, in cui il rischio di scivolare è davvero cospicuo. Ma a parte queste rare eccezioni, noto piacevolmente la cura con cui sono stati apposte numerose e solide protezioni in presenza dei passaggi più delicati.
L’attraversamento del Rio Calagno, già fuori dal territorio del Parco, è uno dei più belli di tutta la giornata: le pozze sottostanti ricordano per colore le acque della Verzasca. Nella successiva risalita verso Piazza (alpeggio di Gurro) incontro le prime chiazze di neve, che nondimeno non sono causa di problema alcuno. A Piazza lo strato di neve è consistente, anche se, naturalmente, primaverile.
Mi dirigo verso la Mergugna (1020 m), evitando il saliscendi su Gurro, calpestando a tratti un po’ di neve, talora umida, talora ghiacciata. Questa sella posta alla base del Monte Riga permette di avere una visuale completa sulla Valle Cannobina, data la sua posizione baricentrica: in più, oltre la fine della Valle a sud, oltre il Lago Maggiore, appare anche la sagoma sinuosa del Monte Lema.
Discesa verso Falmenta e la stanchezza comincia a farsi sentire: quanto preferirei dover ancora salire! …e invece alla fine della giornata – ovviamente – il saldo del dislivello positivo sarà pari a quello negativo. Mi consolo con la splendida visione del fornale nord del Monte Zeda, selvaggio, verticale e totalmente bianco!
Attraverso tutto il paese, supero un tornante sulla strada asfaltata e poi scendo sul sentiero che mi porta ad oltrepassare il Rio Falmenta, che scende dalla Zeda, per poi risalire in direzione di Crealla, fino a non molti anni fa ultimo paese abitato della Valle raggiungibile solo via sentieri (ora esiste una strada carrozzabile che lo unisce a Falmenta). Sembra davvero che qui il tempo si sia fermato (più che negli altri villaggi della valle): Crealla è veramente un luogo delizioso.
Altro saliscendi verso Luera (toponimo facilmente riconducibile alla notte dei tempi – ma neanche troppo - in cui in valle si riscontrava la presenza del lupo), oltrepassando il Rio Crealla, e da qui discesa verso Corte e Calachina, prima dell’ennesimo saliscendi per superare l’ultimo rio laterale, il Rio Socraggio.
Risalgo dunque verso Socraggio e mi accorgo che ormai sono le 17.30: abbandono l’ipotizzato proposito di fare un ulteriore giro attraverso Voiasc, i Monti Voja, Sommalemna e i Pianoni (questa variante avrebbe comportato altre tre ore di cammino e un ulteriore aumento del dislivello generale) e mi dirigo verso il fondovalle, sulla cui dura strada asfaltata mi aspetta ancora un’ora abbondante di marcia. All’Orrido di Sant’Anna ripasso il Cannobino con i piedi infuocati e dolenti e verifico per l’ultima volta l’orario: sono le 18.45 e tra 5 minuti sono a casa! Non ho dovuto nemmeno estrarre dallo zaino la pila frontale…
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