Valmalenco: Cima di Campagneda e la Spundascia
Anello alto attorno ad un'area che, affacciata ad un fondovalle di laghi e rifugi, presenta in ogni stagione affluenza turistica altissima; il vantaggio di un passaggio ad alta quota in posizione isolata, oltre che tecnicamente interessante e divertente, è che il campo visivo panoramico si allarga a tutte le principali vette di confine attorno al Bernina e comprende tutti i solchi vallivi che si vanno a chiudere qui nei pressi del confine con la Svizzera (senza trascurare qualche scorcio verso i lontanissimi livignasco, Ortles-Cevedale e Adamello).
Se la salita al Passo di Campagneda è una bella passeggiata fra i pascoli punteggiati da laghi, laghetti e torbiere, la traversata in cresta fino alla Spundascia (sulle mappe Monte Spondascia, con una incompleta italianizzazione del toponimo locale) è un percorso roccioso che, senza troppo impegno ma sempre con attenzione e l'aiuto di qualche - evitabile - catena, segue il vertice della bastionata rocciosa posta a nord del Piano di Campagneda; mentre il ritorno a valle è una sequenza di pendii rocciosi ripidi e sassosi relativamente monotona. La gita si può tranquillamente effettuare, senza rilevanti differenze, in ambedue le direzioni, e soprattutto il tratto "tecnico" presenta caratteristiche del tutto analoghe sia in un senso che nell'altro.
Dai parcheggi di Campomoro, ma preferibilmente da quello presso il Rifugio Poschiavino, si sale in pochi minuti alla dominante costruzione del Rifugio Zoia (grande panorama verso il Disgrazia), da cui si svolta subito a sinistra entrando in un bel bosco misto di pini per avvicinare le varie pareti di serpentino colorato di rosso e di nero, che - Falesia dello Zoia - ospitano numerose fra le vie d'arrampicata più severe della Valmalenco. Oltrepassato l'ultimo settore, il sentiero, lasciata a sinistra la traccia per la Spundascia (via di ritorno), svolta le ultime propaggini della medesima Spundascia e si avvia a raggiungere una posizione centrale della Valle/Piana di Campagneda. Dopo aver intercettato una pista sterrata nei pressi dell'Alpe Campagneda e del Rifugio Cà Runcasch, la si segue in salita con qualche larga curva fino al suo termine nei pressi di uno stallone: si prosegue ora nel pascolo lungo tracce più o meno vaghe (qui i passaggi di bestiame pascolante e di turisti vaganti sono numerosissimi e soggettivi) raggiungendo in blanda pendenza con solo qualche intermedia impennata il primo nella sequenza dei Laghi di Campagneda. I laghetti, tutti più o meno collegati fra loro da torrentelli e torbiere, sono cartografati senza specifici toponimi, ma solo col nome collettivo; e questo non perchè non ne abbiano uno ciascuno, ma anzi perchè ne hanno più di uno, in base al dialetto del comune possessore dei terreni. I pascoli vanno poi terminando ed il sentiero, con qualche tratto zigzagante fra vallette e pendii di sfasciumi, sale a raggiungere il larghissimo altopiano del Passo di Campagneda: la posizione ufficiale del valico (risalente al 1935) è un po' convenzionale ed il ritirarsi del Ghiacciaio dello Scalino ha contribuito notevolmente all'alterazione dell'orografia: basti pensare che l'attuale Passo della Tempesta era - tra XVII e XIX secolo - l'unica possibilità di passaggio fra Val Poschiavina e Campagneda, essendo impraticabile il tratto fra Passo Canciano e Passo di Campagneda, oggi una delle escursioni più frequentate della Valmalenco. Dall'arco commemorativo (ricorda le prime edizioni della gara di corsa in montagna Valmalenco-Valposchiavo) situato sul più comodo punto di svalicamento (non il punto più basso) si seguono i bolli bianco-rossi verso sinistra, fra blocchi di roccia che, aggirando qua e là grossi massi, indirizzano a risalire la larga groppa di crinale della Cima di Campagneda; la traccia di sentiero, quando presente, aggira le "difficoltà" prevalentemente da sud (versante di Campagneda), che, pur scosceso e roccioso, non è così verticale come il lato poschiavino. Dopo la vetta, duplice ed identificata rispettivamente con un un ometto di pietre ed un cartello toponomastico rosso, si affrontano due insidiose discese di terriccio e pietrisco, intervallate dall'aggiramento di un torrione roccioso, che permettono di raggiungere il punto più basso della traversata, il Passo della Tempesta, ragionevolmente ma faticosamente raggiungibile dalle due vallate che mette in comunicazione. Inizia, dopo un trasferimento ascendente su pietrisco fine, il segmento assistito da catene passamano. Il primo tratto, pressochè verticale, rassicura nella risalita di rocce gradinate, fino a portarsi ad una sorta di cengia che si conclude con l'attraversamento in salita di una placca liscia ma scarsamente inclinata; da questo punto, raggiunta la larga dorsale di pietre accumulate, si prosegue nello spostamento verso ovest-nord-ovest che culmina nella Q 2852 (detta anticima della Spundascia). Pochi passi in discesa fra i blocchi e si raggiunge la selletta che separa dalla costruzione sommitale della Spundascia, che da qui appare come ammasso larghissimo di rocce serpentinose; le indicazioni avviano a risalire un pendio terroso fra rocce talora non sicurissime, fino a poter afferrare il capo libero di una catena - peraltro non indispensabile - che accompagna a raggiungere un largo cengione che, verso sinistra, permette di aggirare un blocco di rocce più compatte fino a raggiungere l'amplissima sommità della montagna. Del panorama disponibile si è già detto nell'introduzione, ma è opportuno ribadire che ne vale veramente la pena. Tornati alla selletta alla base, ci si avvia a scendere il vallone di destra, fra ghiaie e sassi instabili, in direzione di un laghetto con al centro un'isola monolitica fino a raggiungerne le sponde; in pochi passi se ne scende la soglia meridionale per raggiungere un lunghissimo ripiano-cengia che accompagna fino a convergere nella cresta sud-ovest della Spundascia, dove questa si fa meno compatta. Si prosegue tortuosamente fra rocce e arbusti di larice scendendo gradualmente verso le vallette ormai boscose che si concludono su lunghe placconate di serpentino all'incrocio del sentiero di andata, a poca distanza dalla palestra di roccia.
Se la salita al Passo di Campagneda è una bella passeggiata fra i pascoli punteggiati da laghi, laghetti e torbiere, la traversata in cresta fino alla Spundascia (sulle mappe Monte Spondascia, con una incompleta italianizzazione del toponimo locale) è un percorso roccioso che, senza troppo impegno ma sempre con attenzione e l'aiuto di qualche - evitabile - catena, segue il vertice della bastionata rocciosa posta a nord del Piano di Campagneda; mentre il ritorno a valle è una sequenza di pendii rocciosi ripidi e sassosi relativamente monotona. La gita si può tranquillamente effettuare, senza rilevanti differenze, in ambedue le direzioni, e soprattutto il tratto "tecnico" presenta caratteristiche del tutto analoghe sia in un senso che nell'altro.
Dai parcheggi di Campomoro, ma preferibilmente da quello presso il Rifugio Poschiavino, si sale in pochi minuti alla dominante costruzione del Rifugio Zoia (grande panorama verso il Disgrazia), da cui si svolta subito a sinistra entrando in un bel bosco misto di pini per avvicinare le varie pareti di serpentino colorato di rosso e di nero, che - Falesia dello Zoia - ospitano numerose fra le vie d'arrampicata più severe della Valmalenco. Oltrepassato l'ultimo settore, il sentiero, lasciata a sinistra la traccia per la Spundascia (via di ritorno), svolta le ultime propaggini della medesima Spundascia e si avvia a raggiungere una posizione centrale della Valle/Piana di Campagneda. Dopo aver intercettato una pista sterrata nei pressi dell'Alpe Campagneda e del Rifugio Cà Runcasch, la si segue in salita con qualche larga curva fino al suo termine nei pressi di uno stallone: si prosegue ora nel pascolo lungo tracce più o meno vaghe (qui i passaggi di bestiame pascolante e di turisti vaganti sono numerosissimi e soggettivi) raggiungendo in blanda pendenza con solo qualche intermedia impennata il primo nella sequenza dei Laghi di Campagneda. I laghetti, tutti più o meno collegati fra loro da torrentelli e torbiere, sono cartografati senza specifici toponimi, ma solo col nome collettivo; e questo non perchè non ne abbiano uno ciascuno, ma anzi perchè ne hanno più di uno, in base al dialetto del comune possessore dei terreni. I pascoli vanno poi terminando ed il sentiero, con qualche tratto zigzagante fra vallette e pendii di sfasciumi, sale a raggiungere il larghissimo altopiano del Passo di Campagneda: la posizione ufficiale del valico (risalente al 1935) è un po' convenzionale ed il ritirarsi del Ghiacciaio dello Scalino ha contribuito notevolmente all'alterazione dell'orografia: basti pensare che l'attuale Passo della Tempesta era - tra XVII e XIX secolo - l'unica possibilità di passaggio fra Val Poschiavina e Campagneda, essendo impraticabile il tratto fra Passo Canciano e Passo di Campagneda, oggi una delle escursioni più frequentate della Valmalenco. Dall'arco commemorativo (ricorda le prime edizioni della gara di corsa in montagna Valmalenco-Valposchiavo) situato sul più comodo punto di svalicamento (non il punto più basso) si seguono i bolli bianco-rossi verso sinistra, fra blocchi di roccia che, aggirando qua e là grossi massi, indirizzano a risalire la larga groppa di crinale della Cima di Campagneda; la traccia di sentiero, quando presente, aggira le "difficoltà" prevalentemente da sud (versante di Campagneda), che, pur scosceso e roccioso, non è così verticale come il lato poschiavino. Dopo la vetta, duplice ed identificata rispettivamente con un un ometto di pietre ed un cartello toponomastico rosso, si affrontano due insidiose discese di terriccio e pietrisco, intervallate dall'aggiramento di un torrione roccioso, che permettono di raggiungere il punto più basso della traversata, il Passo della Tempesta, ragionevolmente ma faticosamente raggiungibile dalle due vallate che mette in comunicazione. Inizia, dopo un trasferimento ascendente su pietrisco fine, il segmento assistito da catene passamano. Il primo tratto, pressochè verticale, rassicura nella risalita di rocce gradinate, fino a portarsi ad una sorta di cengia che si conclude con l'attraversamento in salita di una placca liscia ma scarsamente inclinata; da questo punto, raggiunta la larga dorsale di pietre accumulate, si prosegue nello spostamento verso ovest-nord-ovest che culmina nella Q 2852 (detta anticima della Spundascia). Pochi passi in discesa fra i blocchi e si raggiunge la selletta che separa dalla costruzione sommitale della Spundascia, che da qui appare come ammasso larghissimo di rocce serpentinose; le indicazioni avviano a risalire un pendio terroso fra rocce talora non sicurissime, fino a poter afferrare il capo libero di una catena - peraltro non indispensabile - che accompagna a raggiungere un largo cengione che, verso sinistra, permette di aggirare un blocco di rocce più compatte fino a raggiungere l'amplissima sommità della montagna. Del panorama disponibile si è già detto nell'introduzione, ma è opportuno ribadire che ne vale veramente la pena. Tornati alla selletta alla base, ci si avvia a scendere il vallone di destra, fra ghiaie e sassi instabili, in direzione di un laghetto con al centro un'isola monolitica fino a raggiungerne le sponde; in pochi passi se ne scende la soglia meridionale per raggiungere un lunghissimo ripiano-cengia che accompagna fino a convergere nella cresta sud-ovest della Spundascia, dove questa si fa meno compatta. Si prosegue tortuosamente fra rocce e arbusti di larice scendendo gradualmente verso le vallette ormai boscose che si concludono su lunghe placconate di serpentino all'incrocio del sentiero di andata, a poca distanza dalla palestra di roccia.
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