Passo Ventina
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Per il fatto che abbiamo la comoda possibilità di trascorrere parecchi giorni all'anno in provincia di Sondrio, per noi le due Alte Vie più note (Sentiero Roma ed Alta Via della Valmalenco) non sono mai state veramente tali nella loro interezza, ma le abbiamo sempre frequentate nell'ambito di escursioni ad anello da compiersi nell'arco di una giornata (talora andata un po' per le lunghe...): questa del Passo Ventina ci mancava. E devo dire che la stagione autunnale è la più adatta per temperature e colori, nonchè naturalmente per la solitarietà del cammino. Senza superare la quota di 2700 metri ci si trova circondati da un ambiente di alta montagna con ghiacciai, morene e distese di pietre multicolori che, in questo specifico caso, ospitano inaspettatamente incredibili laghi dalle acque color turchese.
Tutto ben segnalato, anche se dall'Alpe Zocche al Lagazzuolo il sentiero non sembra proprio al centro dell'interesse dei normali gitanti. Dal Lagazzuolo sarebbe possibile evitare la discesa a San Giuseppe passando per Girosso e Braccia con risalita ad oltre 2300 metri, ma l'ora un po' tarda per questa volta ce lo ha sconsigliato.
Dalla strada del parcheggio, ora sterrata, si prosegue fino a raggiungerne la piazza di giro terminale; qui si presenta una folta copia di indicazioni: la maggior parte confuse ed apparentemente con le stesse mete ma con tempi diversi; scegliamo il sentiero di destra - il meno comodo - solo perchè dà il percorso più veloce. La traccia prosegue in traverso nel bosco di larici (siamo o non siamo nella pineta di Primolo?) prendendo quota con qualche impennata e pochi tornanti fino ad avvicinarsi alla radura del Prato ed alla sua pista sterrata proveniente dal Lago di Chiesa (Alpe Lago, comunemente); ancora un po' di salita e si raggiunge l'ampia radura di Pradasc (Pradaccio) con le sue baitine in fila a margine del pascolo. Da qui in avanti l'ascesa si fa seria: il sentiero risale implacabile finchè è possibile le poche liste erbose ed i boschetti di mughi sul margine destro della Val Sassersa, poi si addentra nelle pietraie che non ci abbandoneranno più fin quasi ai Rifugi Ventina e Porro. Saltando da un masso all'altro si percorre dapprima ancora il versante destro, poi si prosegue lungamente al centro (dove le pietre nascondono in profondità il corso del torrente), quindi si seguono le lisce piode sulla sinistra che precedono la conca del più basso dei tre laghetti di Sassersa. Lo spettacolo cromatico è incredibile: l'acqua turchese e le rocce di tutti i colori compresi fra il rosso e l'arancione, con le improvvise intrusioni di grigio-azzurro delle serpentiniti più o meno ossidate. Il vallone si restringe (alle spalle scorgiamo anche gli altri due laghetti superiori) e la traccia di passaggio serpeggia in stretti tornanti fino alla breccia del Passo Ventina: uscendo un poco dalla linea di passaggio si può ampliare il panorama dalla cima del Monte Disgrazia fino al Passo del Muretto e oltre. La famigerata discesa del versante Val Ventina non mi è parsa poi così temibile come si dice o legge: certamente è molto ripida e i traversi fra un tornante ed il successivo sono sempre di pochi metri, ma il fondo di abbondante sabbia/ghiaia tiene bene il passo; al termine della discesa più accentuata una placca di neve dura da valanga introduce ad una traversata verso destra che, con successivi spostamenti, accompagna al filo della morena longitudinale di fondovalle. La vegetazione timidamente ricompare e tenta di resistere anche qualche piccolissimo larice: il ghiacciaio si è molto ritirato, ma la temperatura del terreno è ancora molto bassa; proseguendo si va ad affiancare il torrente della Val Ventina che serpeggia nella piana in vari alvei temporanei rendendo talora il terreno paludoso. All'inizio del pianoro l'Alpe Ventina ospita il rifugio omonimo e l'inconfondibile Gerli -Porro dal tetto rosso. Dopo pochi passi sul tratturo che proviene da Chiareggio si trova il sentiero che si dirige all'Alpe Pirola lungo un traverso che guadagna poco più di un centinaio di metri di quota fra pietraie e rado bosco: questo alpeggio, come tutti i prossimi che incontreremo, sono ormai abbandonati da decenni, perlopiù ridotti a rudere e circondati da vegetazione invasiva e pungente di ortiche. Una rapida perdita di dislivello fra i larici conduce fino all'Alpe Zocche, non lontana da Chiareggio, poi il sentiero, sempre con le medesime caratteristiche di alternare l'attraversamento di canaloni al percorso di bucolici terrazzi "coltivati" a mirtilli, raggiunge l'Alpe Pirolina, dove invano tre baite non sono ancora crollate. Con atteggiamento prudente ed attenzione verso l'alto si attraversa una recentissima frana - tuttora chiaramente instabile - che, fra blocchi delle dimensioni di un monolocale ed alberi sradicati, ha cancellato momentaneamente il sentiero, per poi arrivare "normalmente" all'Alpe Lagazzuolo, dove due baite rivivono adattate a bivacco (peraltro chiuso). [Per chi ha tempo, o già non lo conosca, vale la pena di salire per poche decine di metri di quota per visitare il bellissimo Lago Lagazzuolo]. La discesa verso San Giuseppe avviene lungo il diretto sentiero di accesso a Lagazzuolo, sassoso e spesso gradinato dalle radici degli alberi: raggiunto il torrente Mallero, lo si attraversa su di un ponte per andare a percorrere una pista di servizio ai lavori di regimazione delle acque in un ambiente non esattamente accattivante. Al ponte successivo si torna ad attraversare il corso d'acqua per imboccare il Sentiero dei Cervi per Primolo: anche qui, come nella toponomastica cittadina si devono intitolare le strade a personaggi morti, si è provveduto a ricordare animali estinti dalla caccia. A Primolo si attraversa la "pineta" fra campo giochi e campi da tennis per raggiungere la parte più antica della frazione, a monte della quale si ritorna sulla strada fiancheggiata dai parcheggi.
Tutto ben segnalato, anche se dall'Alpe Zocche al Lagazzuolo il sentiero non sembra proprio al centro dell'interesse dei normali gitanti. Dal Lagazzuolo sarebbe possibile evitare la discesa a San Giuseppe passando per Girosso e Braccia con risalita ad oltre 2300 metri, ma l'ora un po' tarda per questa volta ce lo ha sconsigliato.
Dalla strada del parcheggio, ora sterrata, si prosegue fino a raggiungerne la piazza di giro terminale; qui si presenta una folta copia di indicazioni: la maggior parte confuse ed apparentemente con le stesse mete ma con tempi diversi; scegliamo il sentiero di destra - il meno comodo - solo perchè dà il percorso più veloce. La traccia prosegue in traverso nel bosco di larici (siamo o non siamo nella pineta di Primolo?) prendendo quota con qualche impennata e pochi tornanti fino ad avvicinarsi alla radura del Prato ed alla sua pista sterrata proveniente dal Lago di Chiesa (Alpe Lago, comunemente); ancora un po' di salita e si raggiunge l'ampia radura di Pradasc (Pradaccio) con le sue baitine in fila a margine del pascolo. Da qui in avanti l'ascesa si fa seria: il sentiero risale implacabile finchè è possibile le poche liste erbose ed i boschetti di mughi sul margine destro della Val Sassersa, poi si addentra nelle pietraie che non ci abbandoneranno più fin quasi ai Rifugi Ventina e Porro. Saltando da un masso all'altro si percorre dapprima ancora il versante destro, poi si prosegue lungamente al centro (dove le pietre nascondono in profondità il corso del torrente), quindi si seguono le lisce piode sulla sinistra che precedono la conca del più basso dei tre laghetti di Sassersa. Lo spettacolo cromatico è incredibile: l'acqua turchese e le rocce di tutti i colori compresi fra il rosso e l'arancione, con le improvvise intrusioni di grigio-azzurro delle serpentiniti più o meno ossidate. Il vallone si restringe (alle spalle scorgiamo anche gli altri due laghetti superiori) e la traccia di passaggio serpeggia in stretti tornanti fino alla breccia del Passo Ventina: uscendo un poco dalla linea di passaggio si può ampliare il panorama dalla cima del Monte Disgrazia fino al Passo del Muretto e oltre. La famigerata discesa del versante Val Ventina non mi è parsa poi così temibile come si dice o legge: certamente è molto ripida e i traversi fra un tornante ed il successivo sono sempre di pochi metri, ma il fondo di abbondante sabbia/ghiaia tiene bene il passo; al termine della discesa più accentuata una placca di neve dura da valanga introduce ad una traversata verso destra che, con successivi spostamenti, accompagna al filo della morena longitudinale di fondovalle. La vegetazione timidamente ricompare e tenta di resistere anche qualche piccolissimo larice: il ghiacciaio si è molto ritirato, ma la temperatura del terreno è ancora molto bassa; proseguendo si va ad affiancare il torrente della Val Ventina che serpeggia nella piana in vari alvei temporanei rendendo talora il terreno paludoso. All'inizio del pianoro l'Alpe Ventina ospita il rifugio omonimo e l'inconfondibile Gerli -Porro dal tetto rosso. Dopo pochi passi sul tratturo che proviene da Chiareggio si trova il sentiero che si dirige all'Alpe Pirola lungo un traverso che guadagna poco più di un centinaio di metri di quota fra pietraie e rado bosco: questo alpeggio, come tutti i prossimi che incontreremo, sono ormai abbandonati da decenni, perlopiù ridotti a rudere e circondati da vegetazione invasiva e pungente di ortiche. Una rapida perdita di dislivello fra i larici conduce fino all'Alpe Zocche, non lontana da Chiareggio, poi il sentiero, sempre con le medesime caratteristiche di alternare l'attraversamento di canaloni al percorso di bucolici terrazzi "coltivati" a mirtilli, raggiunge l'Alpe Pirolina, dove invano tre baite non sono ancora crollate. Con atteggiamento prudente ed attenzione verso l'alto si attraversa una recentissima frana - tuttora chiaramente instabile - che, fra blocchi delle dimensioni di un monolocale ed alberi sradicati, ha cancellato momentaneamente il sentiero, per poi arrivare "normalmente" all'Alpe Lagazzuolo, dove due baite rivivono adattate a bivacco (peraltro chiuso). [Per chi ha tempo, o già non lo conosca, vale la pena di salire per poche decine di metri di quota per visitare il bellissimo Lago Lagazzuolo]. La discesa verso San Giuseppe avviene lungo il diretto sentiero di accesso a Lagazzuolo, sassoso e spesso gradinato dalle radici degli alberi: raggiunto il torrente Mallero, lo si attraversa su di un ponte per andare a percorrere una pista di servizio ai lavori di regimazione delle acque in un ambiente non esattamente accattivante. Al ponte successivo si torna ad attraversare il corso d'acqua per imboccare il Sentiero dei Cervi per Primolo: anche qui, come nella toponomastica cittadina si devono intitolare le strade a personaggi morti, si è provveduto a ricordare animali estinti dalla caccia. A Primolo si attraversa la "pineta" fra campo giochi e campi da tennis per raggiungere la parte più antica della frazione, a monte della quale si ritorna sulla strada fiancheggiata dai parcheggi.
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