Val Qualido: la Stalla Ovale
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In una giornata che in Val di Mello dire affollata è minimizzare (mancano, per ovvie considerazioni climatiche, solo i bagnanti), si salva solo la Val Qualido. D'altro canto la maggior parte dei passanti non ne sospetta nemmeno l'esistenza (e tantomeno del ramo orientale) a causa della soglia alta ed angusta, benchè l'altissima parete sinistra - peraltro con una prospettiva ingannatoria - sia già ben visibile all'altezza del Sasso Remenno.
La Val Qualido antecedentemente agli anni '970 (prime salite alpinistiche di vie rimaste storiche: "Paolo Fabbri 43", "La spada nella roccia", "Mellodramma", "Il paradiso può attendere", ...) veniva percorsa solo dai pastori Melàt (originari del comune di Mello) per raggiungere e caricare gli insospettabili pascoli alti: per questo scopo, qui e altrove in zona, avevano allestito e attrezzato passaggi anche vertiginosi per poter collegare lingue di bosco o pascolo attraverso lisce placche di roccia rendendole praticabili al bestiame. Ora di queste attrezzature (ponti, staccionate, passerelle) non rimane più nulla al di fuori di qualche buco nella pietra e pochi pioli di ferro: rimangono però, ed anche ben saldi, muri a secco, scalinate e terrapieni. L'Alpe Qualido, misera e quasi invisibile (si tratta solo di cavità scavate sotto enormi massi) per l'esigenza di sfuggire alle valanghe che battono quel pendio, non aveva una stalla che potesse ricoverare i circa 60 capi bovini che poteva caricare: agli inizi del XX secolo un temporale immane ne disperse o uccise molti trascinandoli giù per il ramo orientale della Val Qualido (Valle della Mazza). In seguito a questo disastro, ad uno dei pastori - Alessio della Mina - venne l'idea di svuotare lo spazio sotto uno dei massi più ampi e, in due o tre stagioni di lavoro, ricavò il "Camarun", che noi chiamiamo ora Stalla Ovale.
"Avevano tolto circa 600 metri cubi di terra e sassi d’ogni dimensione, ricavando un vano di forma ovale, lungo una ventina di metri, alto nel punto massimo quattro metri e largo circa sette. La grande stalla ovale fu poi rifinita con un pavimento in acciottolato dotato di scoli per i liquami; su tutto il perimetro interno fu disposta una lunga mangiatoia di larice, con fori appositi ove legare circa 50 mucche, i vitellini erano invece tenuti liberi, al centro della stalla. Alcune feritoie verso valle provvedevano a lasciar passare aria e luce, mentre tutto il perimetro, compresa la porzione interna a monte, fu chiuso con un solido muro a secco. Infine, un grosso tronco di larice, disposto in centro alla sala, quasi a sostenere il monolitico tetto, serviva a reggere un piccolo tavolato sospeso che fungeva da fienile. (Cit. Giuseppe "Popi" Miotti)".
Attualmente la stalla ha subito un grave danneggiamento per una frana che occupa circa un quarto della superficie e ne ostacola l'accesso: parte del muro a secco di fondo è crollato e fatica a contenere il relativo terrapieno, con anche un paio di blocchi in posizione estremamente precaria.
Peccato che all'ERSAF, che comunque vi organizza visite guidate, a fronte di tanti altri meritori interventi non abbiano per ora ancora pensato ad un rapido ripristino di questo fragile monumento.
Dal parcheggio del campo sportivo di S.Martino (che noi, partendo dal piazzale esterno del Campeggio Sasso Remenno, abbiamo raggiunto seguendo la bella pista ciclo-pedonale), appena prima del ponte in uscita dal paese, seguendo le indicazioni, si volge a destra imboccando il sentierino che dà accesso pedonale alla Val di Mello, evitando di percorrere la strada carrozzabile a pedaggio dell'altro versante. Il sentiero - molto stretto e accidentato - attraversa, anche con tratti ripidi, il bosco umido che va a concludersi nei primi prati della Val di Mello. Scorrendo fra i numerosi massi isolati (molto frequentati per il bouldering nella bella stagione), si raggiunge il piccolo agglomerato di baite di Cà di Carna. Attraversato il ponte, si imbocca - senza alcuna indicazione - l'evidente sentiero che troviamo quasi di fronte e si comincia a salire nella rada boscaglia, dove compaiono i primi bolli CAI. La traccia, sempre ripida quando non ripidissima lungo tutto il vallone, si porta a risalire uno splendido bosco di faggi lasciando sulla destra la deviazione per il vicino "Trapezio d'Argento" (popolare struttura d'arrampicata con anche una via tra le più facili della Val di Mello); la salita è spesso agevolata da lunghe scalinate, terrapieni e tornanti artificiali: qua e là si incontra anche qualche segno di "comodità melàt", in forma di piccoli ripari sotto-roccia. Gradualmente si arriva ad entrare nella soglia della Val Qualido: sul fondo scorre un torrente soggetto a piene violente e, a sinistra, si innalza bruscamente la famosa parete est del Monte Qualido; sul versante opposto, molto più erboso e boscoso, si interseca il nostro sentiero in cerca del passaggio più efficace: il vero ostacolo di tutta la valle è un lastrone ("pioda") molto ripido ed inaggirabile. I Melàt l'hanno risolto con quattro netti traversi ove necessario attrezzati a scale, sfruttando cenge naturali, scavandone nettamente alcune o rinforzandone altre con pali e zolle di erba "vìsega". Oltrepassato un tratto a prato paludoso (non c'è più nessuno che, nel proprio interesse, pensi a incanalare gli scoli d'acqua...), il sentiero attraversa il torrente con l'aiuto di una corda tesa fra le due rive e torna a risalire un rado bosco, portandosi non lontano dal riparo (noto fra gli alpinisti come "Hotel Qualido") che sta alla base del punto più alto (circa 800m) della parete. La pendenza va quindi diminuendo e più comodamente si sale ai prati del "Cavalet", sella erbosa dove i due rami della Val Qualido convergono a monte della "Mongolfiera" (anticamente "la Mazza"); le segnalazioni proseguono verso l'alto in direzione del traverso del Sentiero Roma, ma, facendo attenzione a qualche ometto di pietre ed a sbiaditissime verniciate, noi dobbiamo spostarci senza sentiero verso destra, dove una frana di blocchi, con il graduale avvicinamento, mostra la presenza di opere umane. La prima struttura che si incontra è un riparo dotato di porta e terrazzo erboso sul davanti, poco sopra una seconda stanza con piccola "dependance" sulla sinistra, poi finalmente il "Camarun": l'ingresso sembra ostruito da una frana, ma, per il momento, si può ancora accedere comodamente all'incredibile locale.
Ritorno per la via di salita.
La Val Qualido antecedentemente agli anni '970 (prime salite alpinistiche di vie rimaste storiche: "Paolo Fabbri 43", "La spada nella roccia", "Mellodramma", "Il paradiso può attendere", ...) veniva percorsa solo dai pastori Melàt (originari del comune di Mello) per raggiungere e caricare gli insospettabili pascoli alti: per questo scopo, qui e altrove in zona, avevano allestito e attrezzato passaggi anche vertiginosi per poter collegare lingue di bosco o pascolo attraverso lisce placche di roccia rendendole praticabili al bestiame. Ora di queste attrezzature (ponti, staccionate, passerelle) non rimane più nulla al di fuori di qualche buco nella pietra e pochi pioli di ferro: rimangono però, ed anche ben saldi, muri a secco, scalinate e terrapieni. L'Alpe Qualido, misera e quasi invisibile (si tratta solo di cavità scavate sotto enormi massi) per l'esigenza di sfuggire alle valanghe che battono quel pendio, non aveva una stalla che potesse ricoverare i circa 60 capi bovini che poteva caricare: agli inizi del XX secolo un temporale immane ne disperse o uccise molti trascinandoli giù per il ramo orientale della Val Qualido (Valle della Mazza). In seguito a questo disastro, ad uno dei pastori - Alessio della Mina - venne l'idea di svuotare lo spazio sotto uno dei massi più ampi e, in due o tre stagioni di lavoro, ricavò il "Camarun", che noi chiamiamo ora Stalla Ovale.
"Avevano tolto circa 600 metri cubi di terra e sassi d’ogni dimensione, ricavando un vano di forma ovale, lungo una ventina di metri, alto nel punto massimo quattro metri e largo circa sette. La grande stalla ovale fu poi rifinita con un pavimento in acciottolato dotato di scoli per i liquami; su tutto il perimetro interno fu disposta una lunga mangiatoia di larice, con fori appositi ove legare circa 50 mucche, i vitellini erano invece tenuti liberi, al centro della stalla. Alcune feritoie verso valle provvedevano a lasciar passare aria e luce, mentre tutto il perimetro, compresa la porzione interna a monte, fu chiuso con un solido muro a secco. Infine, un grosso tronco di larice, disposto in centro alla sala, quasi a sostenere il monolitico tetto, serviva a reggere un piccolo tavolato sospeso che fungeva da fienile. (Cit. Giuseppe "Popi" Miotti)".
Attualmente la stalla ha subito un grave danneggiamento per una frana che occupa circa un quarto della superficie e ne ostacola l'accesso: parte del muro a secco di fondo è crollato e fatica a contenere il relativo terrapieno, con anche un paio di blocchi in posizione estremamente precaria.
Peccato che all'ERSAF, che comunque vi organizza visite guidate, a fronte di tanti altri meritori interventi non abbiano per ora ancora pensato ad un rapido ripristino di questo fragile monumento.
Dal parcheggio del campo sportivo di S.Martino (che noi, partendo dal piazzale esterno del Campeggio Sasso Remenno, abbiamo raggiunto seguendo la bella pista ciclo-pedonale), appena prima del ponte in uscita dal paese, seguendo le indicazioni, si volge a destra imboccando il sentierino che dà accesso pedonale alla Val di Mello, evitando di percorrere la strada carrozzabile a pedaggio dell'altro versante. Il sentiero - molto stretto e accidentato - attraversa, anche con tratti ripidi, il bosco umido che va a concludersi nei primi prati della Val di Mello. Scorrendo fra i numerosi massi isolati (molto frequentati per il bouldering nella bella stagione), si raggiunge il piccolo agglomerato di baite di Cà di Carna. Attraversato il ponte, si imbocca - senza alcuna indicazione - l'evidente sentiero che troviamo quasi di fronte e si comincia a salire nella rada boscaglia, dove compaiono i primi bolli CAI. La traccia, sempre ripida quando non ripidissima lungo tutto il vallone, si porta a risalire uno splendido bosco di faggi lasciando sulla destra la deviazione per il vicino "Trapezio d'Argento" (popolare struttura d'arrampicata con anche una via tra le più facili della Val di Mello); la salita è spesso agevolata da lunghe scalinate, terrapieni e tornanti artificiali: qua e là si incontra anche qualche segno di "comodità melàt", in forma di piccoli ripari sotto-roccia. Gradualmente si arriva ad entrare nella soglia della Val Qualido: sul fondo scorre un torrente soggetto a piene violente e, a sinistra, si innalza bruscamente la famosa parete est del Monte Qualido; sul versante opposto, molto più erboso e boscoso, si interseca il nostro sentiero in cerca del passaggio più efficace: il vero ostacolo di tutta la valle è un lastrone ("pioda") molto ripido ed inaggirabile. I Melàt l'hanno risolto con quattro netti traversi ove necessario attrezzati a scale, sfruttando cenge naturali, scavandone nettamente alcune o rinforzandone altre con pali e zolle di erba "vìsega". Oltrepassato un tratto a prato paludoso (non c'è più nessuno che, nel proprio interesse, pensi a incanalare gli scoli d'acqua...), il sentiero attraversa il torrente con l'aiuto di una corda tesa fra le due rive e torna a risalire un rado bosco, portandosi non lontano dal riparo (noto fra gli alpinisti come "Hotel Qualido") che sta alla base del punto più alto (circa 800m) della parete. La pendenza va quindi diminuendo e più comodamente si sale ai prati del "Cavalet", sella erbosa dove i due rami della Val Qualido convergono a monte della "Mongolfiera" (anticamente "la Mazza"); le segnalazioni proseguono verso l'alto in direzione del traverso del Sentiero Roma, ma, facendo attenzione a qualche ometto di pietre ed a sbiaditissime verniciate, noi dobbiamo spostarci senza sentiero verso destra, dove una frana di blocchi, con il graduale avvicinamento, mostra la presenza di opere umane. La prima struttura che si incontra è un riparo dotato di porta e terrazzo erboso sul davanti, poco sopra una seconda stanza con piccola "dependance" sulla sinistra, poi finalmente il "Camarun": l'ingresso sembra ostruito da una frana, ma, per il momento, si può ancora accedere comodamente all'incredibile locale.
Ritorno per la via di salita.
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