Dove eravamo rimasti?
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Dove eravamo rimasti?
Eravamo rimasti che giravamo su e giù per le montagne più o meno felici. Eravamo rimasti che stavamo cercando di uscire da una crisi (ormai sistemica) che ci attanagliava dal 2008. Eravamo rimasti che stavamo aspettando con ansia (per qualcuno) la primavera che si stava avvicinando con immaginarie falcate. Poi, il buio...
Stop alle uscite in montagna. Cassa integrazione forzata senza vedere l'ombra di un sesterzo grazie alla Regione Lombardia che non ha ancora spedito le richieste, ed infine, a mal voluto corredo, gli arresti domiciliari senza aver subito un fottuto straccio di processo. E la primavera? Bella, come non la si vedeva da anni. Aria pulita, nessun umano in giro, e con gli animali selvatici talmente felici e burloni da venirti a suonare il campanello di casa ad orari improbabili.
Già, la casa. La casa è linda e disinfettata in ogni suo angolo. Il giardino non ha una foglia fuori posto e il prato si è quasi estinto a furia di rasarlo. Mentre in cucina ci si fa grandi. Torte, pizze e leccornie varie colorano i piatti, che nudi, hanno spesso un aspetto triste e monocromatico. Mi diverto a cucinare, ma non sono certo un grande chef. Sono semplicemente un uomo che cucina e sarò grande si e no come una chiappa di Canavacciuolo.
Per le strade l'assordante silenzio è continuamente interrotto dalle sirene delle ambulanze. Il Covid-19 è disteso sul lettino. Il pensiero è spesso un augurio: CE LA FARAI. Chiunque tu sia. La radio è una romantica compagnia, a volte decido di volermi far del male accendendo la televisione. Tra esperti virologi ed improbabili giornalisti vestiti da lugubri gossippisti arriva la "sparata", che già la parola "sparata" in questo periodo non fa bello: "in questo periodo in cui tutti siamo rinchiusi in casa la natalità tra 9,10,11 mesi raggiungerà picchi elevati. In questi mesi sarà un continuo copulare più o meno condom munito".
Mi domando come queste teste a mandorla possano partorire certe amenità.
Come si fa a pensare di trombare come se non ci fosse un domani quando fuori c'è così tanto dolore e la tua o il tuo partner lo vedi come un possibile appestatore? Non sapendo se alla fine del lockdown la tua ditta riaprirà penso che fare un figlio sia l'ultimo dei pensieri... Almeno che il figlio lo si veda in prospettiva come momento di "rinascita" lasciando così che la speranza governi il tuo futuro!
Io ho sempre pensato che la speranza è infame.
Ora d'aria. Esco di casa a piedi, mascherina d'ordinanza e flaconcino di Amuchina in tasca. Ho bisogno di sgranchire le gambe. Esco anche per recuperare generi di prima necessità. C'è da "ricaricare" il telefono cellulare. Nessuna linea fissa attraversa con i suoi fili le mie pareti. Non vedo amici e parenti, almeno quattro parole al telefono! Eccheccazzo!
Cammino incrociando poche persone, ci si saluta con un misto tra il solidale e il "vaffanculo e stammi alla larga maledetto CoVid deambulante". Brutta storia la paura. Sui muri e nelle improvvisate bacheche fioriscono i volantini: se siete in difficoltà chiamate...
Brescia è stata colpita duramente da questo virus maledetto. Ma il popolo bresciano è tosto e fortemente solidale. Anche le comunità immigrate hanno fatto proprio questo spirito e fanno la loro parte donando cibo e pecunia.
Cammino, dicevo. Uno, due, tre, quattro passi. Poi: "Eeeee, pòta 'ndo ët. Sta a baito!". Un uomo, a prima vista pensionato, ma travestito da sbirro di quartiere sbraita dalla finestra.
La "sfollaggine" non è una malattia, è uno state of mind.
Ogni mattina ripercorro le stesse vie, gli stessi vicoli, in maniera schematica e maniacale striscio lungo le cancellate galeotte che si allungano per tutta Via Cascina Tesa, poi una volta raggiunta la palina in ferro che chiude la strada urlo: "galera!". E' un modo come un'altro per evadere. E' un modo come un'altro per sentirti Papillon.
A parte il Maresciallo Rocca, sempre nascosto dietro le tende, il ripetere sempre le stesse strade ha allargato le mie conoscenze. Uomini e donne che prima mi ignoravano amabilmente ora mi salutano con il sorriso celato dalla mascherina talebana, favello con il custode della palestra, mi confronto a cuore aperto con gli abitanti delle case popolari. Mentre con sconvolta ammirazione osservo l'acqua trasparente del fosso che fino a ieri io chiamavo teneramente Rio Merda. Ovviamente non devo spiegarvi il perchè, visto che il suddetto fosso attraversa gran parte della città.
Il resto del tempo che mi è concesso, lo trascorro osservando i fiori che ora riempiono un'ipotetica tavolozza, con il verde e fitto fogliame che fa da mansarda ornitologa, il piumare selvaggio e vario vola radente sulla mia testa. Lo slow motion imposto dall'alto ha tra i pochi lati positivi quello di osservare con ancora maggiore attenzione ciò che mi circonda. Ed è uno spettacolo emozionante. E' tutto un vibrare di ugole.
Fringuelli, Passeri, Cardellini, Codi Rosse, Batticoda, Merli, Gazze Ladre, Scriccioli, Rondini, Corvi. E poi lui, il Re dei ciuffi ribelli (e non me ne voglia quel megalomane di Trump)... L'Upupa Reale.
Ma allora c'è ancora un futuro...
Fase 2.
E' l'alba di un nuovo inizio. E' il ritornare dei passi leggeri su per le terre alte.
Ho una prima "missione" da compiere, una prima uscita montana che sa di pellegrinaggio laico, di ringraziamento personale verso L'Uluru degli escursionisti bresciani... Sono emozionato come la prima volta che ti ho raggiunto, Golem.
Parto da Magno, tento una lunga marcia come prima escursione dopo due mesi di piatto bitume. Ma sento che ce la posso fare.
La prima ora di escursione è un vero inferno, le gambe sembrano girare bene, ma i polmoni si rifiutano di ossigenare a dovere il sangue. Ma è giusto la prima ora, poi all'improvviso il corpo suona come l'orchestra della Scala e la musica muscolare diventa sublime.
Salgo ripidamente, affrontando qualche simpatica roccetta per poi superare due o tre brevi zone esposte. Il silenzio mi circonda e le Pernici Rosse sembra vogliano farmi da battistrada. Ma vigliacca la miseria se riesco ad immortararle per poi vantarmi su Hikr.
Quando esco dalla zona più impervia sono passate quasi 2h, intorno non vedo anima viva mentre verso il M. Lividino vedo un branco di animali che a prima vista sembrano Capre; faccio una zoommata e osservo il piccolo schermo della mia Panasonic. Sono Mufloni, e ce ne saranno una trentina.
Nonostante la strada per il Golem sia ancora lunga devio verso il Lividino per immortalare gli splendidi esemplari, poi fuggo spedito tagliando le pendici del M. Bifo. I Mufloni fuggono a loro volta, ma verso la Malga Lividino.
Raggiungo gli Stalletti Bassi, mi fermo per una breve pausa circondato dai fiori del Tarassaco mentre un uomo è chino nei prati. Qua c'è pieno di erbe commestibili. Ci salutiamo a distanza...
Riprendo il cammino sulla comoda carrareccia, che poi abbandono prima che essa devi verso gli Stalletti Alti. Seguo a sinistra una traccia che si inerpica brutalmente, ora fatico, ma ne ho ben donde visto che sono a pochi minuti dalla mia meta.
Sul Guglielmo il sole risplende mentre un'infido venticello impone un abbigliamento più adeguato. Mi siedo ai piedi del Monumento al Redentore. Per due mesi è stato un immaginario faro sulla città della Leonessa. Per due mesi la cima non ha mai fatto mancare la sua presenza. Da quassù ammiro come se fosse la prima volta lo splendido Lago d'Iseo, poi un poco più distante il Lago di Garda si allunga sinuosamente verso la pianura. Mentre le alte cime stanno perdendo il manto bianco.
Monte Guglielmo: da qua vedo il mio quartiere. Mai capitato.
M'inchino al trigonometrico prima di fare ritorno alla base. La stanchezza rallenta il ritorno alla verticalità, ma la mente è lucida abbastanza per aver un pensiero per tutte e tutti.
Spero stiate tutt@ bene. Voglio leggere le vostre relazioni su Hikr.
A' la prochaine! Menek e il sedicente poeta Eric De Flatulance
Eravamo rimasti che giravamo su e giù per le montagne più o meno felici. Eravamo rimasti che stavamo cercando di uscire da una crisi (ormai sistemica) che ci attanagliava dal 2008. Eravamo rimasti che stavamo aspettando con ansia (per qualcuno) la primavera che si stava avvicinando con immaginarie falcate. Poi, il buio...
Stop alle uscite in montagna. Cassa integrazione forzata senza vedere l'ombra di un sesterzo grazie alla Regione Lombardia che non ha ancora spedito le richieste, ed infine, a mal voluto corredo, gli arresti domiciliari senza aver subito un fottuto straccio di processo. E la primavera? Bella, come non la si vedeva da anni. Aria pulita, nessun umano in giro, e con gli animali selvatici talmente felici e burloni da venirti a suonare il campanello di casa ad orari improbabili.
Già, la casa. La casa è linda e disinfettata in ogni suo angolo. Il giardino non ha una foglia fuori posto e il prato si è quasi estinto a furia di rasarlo. Mentre in cucina ci si fa grandi. Torte, pizze e leccornie varie colorano i piatti, che nudi, hanno spesso un aspetto triste e monocromatico. Mi diverto a cucinare, ma non sono certo un grande chef. Sono semplicemente un uomo che cucina e sarò grande si e no come una chiappa di Canavacciuolo.
Per le strade l'assordante silenzio è continuamente interrotto dalle sirene delle ambulanze. Il Covid-19 è disteso sul lettino. Il pensiero è spesso un augurio: CE LA FARAI. Chiunque tu sia. La radio è una romantica compagnia, a volte decido di volermi far del male accendendo la televisione. Tra esperti virologi ed improbabili giornalisti vestiti da lugubri gossippisti arriva la "sparata", che già la parola "sparata" in questo periodo non fa bello: "in questo periodo in cui tutti siamo rinchiusi in casa la natalità tra 9,10,11 mesi raggiungerà picchi elevati. In questi mesi sarà un continuo copulare più o meno condom munito".
Mi domando come queste teste a mandorla possano partorire certe amenità.
Come si fa a pensare di trombare come se non ci fosse un domani quando fuori c'è così tanto dolore e la tua o il tuo partner lo vedi come un possibile appestatore? Non sapendo se alla fine del lockdown la tua ditta riaprirà penso che fare un figlio sia l'ultimo dei pensieri... Almeno che il figlio lo si veda in prospettiva come momento di "rinascita" lasciando così che la speranza governi il tuo futuro!
Io ho sempre pensato che la speranza è infame.
Ora d'aria. Esco di casa a piedi, mascherina d'ordinanza e flaconcino di Amuchina in tasca. Ho bisogno di sgranchire le gambe. Esco anche per recuperare generi di prima necessità. C'è da "ricaricare" il telefono cellulare. Nessuna linea fissa attraversa con i suoi fili le mie pareti. Non vedo amici e parenti, almeno quattro parole al telefono! Eccheccazzo!
Cammino incrociando poche persone, ci si saluta con un misto tra il solidale e il "vaffanculo e stammi alla larga maledetto CoVid deambulante". Brutta storia la paura. Sui muri e nelle improvvisate bacheche fioriscono i volantini: se siete in difficoltà chiamate...
Brescia è stata colpita duramente da questo virus maledetto. Ma il popolo bresciano è tosto e fortemente solidale. Anche le comunità immigrate hanno fatto proprio questo spirito e fanno la loro parte donando cibo e pecunia.
Cammino, dicevo. Uno, due, tre, quattro passi. Poi: "Eeeee, pòta 'ndo ët. Sta a baito!". Un uomo, a prima vista pensionato, ma travestito da sbirro di quartiere sbraita dalla finestra.
La "sfollaggine" non è una malattia, è uno state of mind.
Ogni mattina ripercorro le stesse vie, gli stessi vicoli, in maniera schematica e maniacale striscio lungo le cancellate galeotte che si allungano per tutta Via Cascina Tesa, poi una volta raggiunta la palina in ferro che chiude la strada urlo: "galera!". E' un modo come un'altro per evadere. E' un modo come un'altro per sentirti Papillon.
A parte il Maresciallo Rocca, sempre nascosto dietro le tende, il ripetere sempre le stesse strade ha allargato le mie conoscenze. Uomini e donne che prima mi ignoravano amabilmente ora mi salutano con il sorriso celato dalla mascherina talebana, favello con il custode della palestra, mi confronto a cuore aperto con gli abitanti delle case popolari. Mentre con sconvolta ammirazione osservo l'acqua trasparente del fosso che fino a ieri io chiamavo teneramente Rio Merda. Ovviamente non devo spiegarvi il perchè, visto che il suddetto fosso attraversa gran parte della città.
Il resto del tempo che mi è concesso, lo trascorro osservando i fiori che ora riempiono un'ipotetica tavolozza, con il verde e fitto fogliame che fa da mansarda ornitologa, il piumare selvaggio e vario vola radente sulla mia testa. Lo slow motion imposto dall'alto ha tra i pochi lati positivi quello di osservare con ancora maggiore attenzione ciò che mi circonda. Ed è uno spettacolo emozionante. E' tutto un vibrare di ugole.
Fringuelli, Passeri, Cardellini, Codi Rosse, Batticoda, Merli, Gazze Ladre, Scriccioli, Rondini, Corvi. E poi lui, il Re dei ciuffi ribelli (e non me ne voglia quel megalomane di Trump)... L'Upupa Reale.
Ma allora c'è ancora un futuro...
Fase 2.
E' l'alba di un nuovo inizio. E' il ritornare dei passi leggeri su per le terre alte.
Ho una prima "missione" da compiere, una prima uscita montana che sa di pellegrinaggio laico, di ringraziamento personale verso L'Uluru degli escursionisti bresciani... Sono emozionato come la prima volta che ti ho raggiunto, Golem.
Parto da Magno, tento una lunga marcia come prima escursione dopo due mesi di piatto bitume. Ma sento che ce la posso fare.
La prima ora di escursione è un vero inferno, le gambe sembrano girare bene, ma i polmoni si rifiutano di ossigenare a dovere il sangue. Ma è giusto la prima ora, poi all'improvviso il corpo suona come l'orchestra della Scala e la musica muscolare diventa sublime.
Salgo ripidamente, affrontando qualche simpatica roccetta per poi superare due o tre brevi zone esposte. Il silenzio mi circonda e le Pernici Rosse sembra vogliano farmi da battistrada. Ma vigliacca la miseria se riesco ad immortararle per poi vantarmi su Hikr.
Quando esco dalla zona più impervia sono passate quasi 2h, intorno non vedo anima viva mentre verso il M. Lividino vedo un branco di animali che a prima vista sembrano Capre; faccio una zoommata e osservo il piccolo schermo della mia Panasonic. Sono Mufloni, e ce ne saranno una trentina.
Nonostante la strada per il Golem sia ancora lunga devio verso il Lividino per immortalare gli splendidi esemplari, poi fuggo spedito tagliando le pendici del M. Bifo. I Mufloni fuggono a loro volta, ma verso la Malga Lividino.
Raggiungo gli Stalletti Bassi, mi fermo per una breve pausa circondato dai fiori del Tarassaco mentre un uomo è chino nei prati. Qua c'è pieno di erbe commestibili. Ci salutiamo a distanza...
Riprendo il cammino sulla comoda carrareccia, che poi abbandono prima che essa devi verso gli Stalletti Alti. Seguo a sinistra una traccia che si inerpica brutalmente, ora fatico, ma ne ho ben donde visto che sono a pochi minuti dalla mia meta.
Sul Guglielmo il sole risplende mentre un'infido venticello impone un abbigliamento più adeguato. Mi siedo ai piedi del Monumento al Redentore. Per due mesi è stato un immaginario faro sulla città della Leonessa. Per due mesi la cima non ha mai fatto mancare la sua presenza. Da quassù ammiro come se fosse la prima volta lo splendido Lago d'Iseo, poi un poco più distante il Lago di Garda si allunga sinuosamente verso la pianura. Mentre le alte cime stanno perdendo il manto bianco.
Monte Guglielmo: da qua vedo il mio quartiere. Mai capitato.
M'inchino al trigonometrico prima di fare ritorno alla base. La stanchezza rallenta il ritorno alla verticalità, ma la mente è lucida abbastanza per aver un pensiero per tutte e tutti.
Spero stiate tutt@ bene. Voglio leggere le vostre relazioni su Hikr.
A' la prochaine! Menek e il sedicente poeta Eric De Flatulance
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