Il giardino del ciliegio (Che Cechov mi perdoni)
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Un giardino è un piccolo universo dove regnano simpatici lillipuziani chiamati insetti, incuranti della concitazione con la quale noi bizzarri umani inseguiamo la vita moderna. Essi obbediscono solo alle inalterabili leggi della natura: luce, buio, caldo, freddo.
Comprimere gli spazi è un metodo efficace per compiere un'escursione senza muoversi da casa, obbligo civile e morale in questo periodo di emergenza sanitaria.
Non bisogna sentirsi mutilati nell'entusiasmo, al contrario può risultare divertente cogliere i limiti come una sfida stimolante alla fantasia. Gli scenari sconfinati delle montagne ci distraggono facilmente dalle bellezze celate negli orizzonti minimi di un prato. Per sublimare e apprezzare questo ambiente, mi viene in mente una parola affascinante che inventò Fosco Maraini, grande alpinista, scrittore, fotografo ed antropologo: endocosmo.
E' il nostro modo di sentire le cose, il filtro interiore della nostra sensibilità dove far passare il mondo esterno per arricchirci. Senza contare passi, chilometri o dislivello, emergono solo le emozioni.
Il mio cammino inizia tra una moltitudine di margherite, allegre protagoniste dei prati. Quando ne vedo a centinaia non resisto, devo sdraiarmi e lasciarmi accarezzare dalla loro delicata presenza. Mettere il naso a livello del terreno, inoltre, svela un popolo di curiosi esserini volanti.
Anche nella micro corporatura di un semplice moscerino, che possiamo più elegantemente chiamare dittero, si cela una sorprendente esempio di vivacità in movimento, come fosse un minuscolo cavaliere errante senza feudo. Gli alberi da frutto nella stagione tiepida si ricoprono di bianco, trasformandosi in fastosi bouquet di fiori per immaginarie spose primaverili, rigogliosi e profumati. Attorno ad essi turbina costantemente un nugolo di insetti impollinatori, alla ricerca del goloso nettare.
Dopo aver fatto tappa sotto il prugno e il pero, entrambi splendidamente fioriti, giungo al melo. Mentre ammiro le sue gemme gonfie e lucide, una macchia viola tra l'erba attira il mio sguardo. Sono i giacinti, raffinati calici lilla che sembrano disegnati da un cesello barocco. Solitari o riuniti in piccoli gruppi spiccano i fiori del tarassaco, il loro giallo trionfa sulla distesa erbosa. Ognuno di essi pare un sole in miniatura che ha assorbito e imparato il dominio della luce.
Giungo sotto il mio albero preferito, il ciliegio. Il profumo dolce dei suoi fiori è inebriante e avvolgente, a mio parere velatamente sensuale. Ho voglia di salirci. Amo da sempre arrampicarmi sugli alberi, fin dall'infanzia, è un caro ricordo di estati infinite passate a scorrazzare libero come un puledro nelle campagne della fattoria dei nonni. E' una pulsione che, a dispetto dell'età, trovo ancora irresistibile. Pochi minuti dopo sono lassù, proprio al centro della chioma. Il ronzio delle api è diventato intenso, ipnotico, unito all'odore zuccherino dei fiori crea un'atmosfera deliziosa.
Considero questi imenotteri creature fantastiche, creano alveari geometricamente sbalorditivi senza ingegneri e sono dotati di un senso sociale incredibile. La mia ammirazione è amplificata dalla passione da plantigrado per il miele, lo confesso. In una immaginaria gerarchia nobiliare "insettifera" sono le regine assolute. Ammirarle da così vicino, nelle loro imprevedibili evoluzioni senza gravità non fa che accrescere questa convinzione. La sensazione vagamente zen di essere parte dell'albero è immediata, straniante e molto piacevole.
Mi sono bastati pochi minuti tra i rami per desiderare di non voler più scendere, in preda ad una sensazione di leggerezza e felicità improvvisa. Tra i pensieri emerge una grottesca epifania: il famoso barone rampante, calviniano e un po'calvinista, avrebbe evitato il virus? La risposta sembra arrivare dal sorriso del mio vicino, che appoggiato alla recinzione mi osserva con un aria allo stesso tempo perplessa e divertita.
soundtrack: Il ciliegio - A. Branduardi
https://www.youtube.com/watch?v=L4LmIT6HbIo
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