Monte La Motta
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Scendendo da Tabbiadello a Dangri lungo la Via dei Monti Lariani, la scorsa domenica avevamo adocchiato una ripida sequenza di prati che, a partenza dalla pista forestale Livo-Dangri, saliva alle ultime propaggini del crestone sud-est del Monte Duria, nei pressi del Monte La Motta. Il percorso si è rivelato fattibile, certamente non agevole e non in competizione con la via da Bodone per la vetta principale, ma sicuramente frequentato in un lontanissimo passato: molti ruderi di baite, qualche segmento di sentiero ancora riconoscibile e numerose tracce di animali. Altro tratto di gita interessante quello che da Bodone riconduce nei pressi di Livo al Pian del Gorghiglio (Bacino a2a di Peglio): un sentiero è mappato sulla CTR, ma - almeno in questa stagione - risulta sommerso ed invisibile nel mare di foglie del castagneto che attraversa ed occorre scendere a vista di baita in baita, dopo aver capito che la traccia, pur tortuosa, segue la logica di unire in sequenza tutte le costruzioni. Naturalmente spettacolare il panorama che si può osservare lungo il percorso della comoda cresta erbosa del Monte La Motta fino alla Sella di Paregna.
Dal parcheggio si segue la carrozzabile per Dangri oltrepassando la chiesa di San Giacomo vecchia e continuando fino a raggiungere la seconda carrabile che sale a sinistra, proprio prima di un gruppo di baite. Dopo una casa in ristrutturazione il sentiero si perde ed occorre salire come meglio possibile ai ruderi soprastanti; l'erba ricopre ormai ogni traccia di passaggio recente, ma nel pendio si leggono un poco i dimenticati percorsi del bestiame da pascolo. Evitando sulla sinistra di entrare in uno scomodo canale, si attraversa una placchetta rocciosa ben appigliata (da usare si e no le mani...) e più agevolmente si arriva ad attraversare una strada asfaltata: è la pista a pedaggio Livo-Campo Faido che inizia all'altezza del parcheggio iniziale. Sulla sponda superiore, con buon sentiero erboso, si procede paralleli ad una teleferica di rifornimento alle baite sparse soprastanti di Faido: è una comunità molto diffusa di ruderi, stalle, abitazioni e quasi-villette che precede l'impennata del pendio che non darà tregua fino all'addolcirsi del crinale. Si procede attraverso un vero e proprio "pagliaio" di alte erbe secche coricate a terra dall'ultima scomparsa nevicata, ma fortunatamente per qualche centinaio di metri - fino ad un appostamento fisso di caccia agli ungulati - sotto la coltre vegetale si può trovare qualche gradinamento formatosi dai passaggi ripetuti. Più oltre non è raro usare le mani per mantenere l'equilibrio nei passaggi più sdrucciolevoli, procedendo comunque in modo da aggirare i tratti più ripidi: si entra temporaneamente in uno splendido boschetto di betulle, poi si traversa a destra portandosi nei pressi di una vecchia linea di filo spinato che pare disposta a dividere antiche pertinenze; ma ormai ci si è avvicinati alla zona di rimboschimento sommitale. Il terreno si spiana molto fra gli abeti e, benchè in assenza di sentiero, si raggiunge facilmente in breve il culmine della dorsale: la linea degli alberi si interrompe bruscamente e ci si affaccia definitivamente sui pascoli della lunga cresta sud-est del Monte Duria. Si incrocia subito un sentiero segnalato e lo si segue verso destra portandosi ad una forcella (da sinistra un sentiero diretto da Bodone) dove troviamo la baita di un inaspettato Rifugio Culmine; proseguendo sul largo crinale segnato dal ripetuto passaggio delle moto da trial, si raggiunge un dosso con croce che corrisponde - quotata ma non nominata sulle carte - ad un'anticima sud del Monte La Motta. Il sentiero prosegue intersecando e lasciando sulla destra una pista cementata (che prosegue lungamente andando poi a perdersi nei canaloni franosi alle pendici del Sasso Camoscè e del Monte l'Usciolo) fino ad arrivare alla cupola erbosa del Monte La Motta col suo grosso ometto di pietre. Si scende quindi all'Alpe Paregna dove si trova la pista di servizio che, sterrata e poi cementata ed asfaltata, va percorsa fino ad una curva nei pressi di Bodone. Si procede in discesa oltrepassando qualche breve traverso fino a trovare il primo lontano tornante, dal cui lato esterno si stacca un sentierino poco visibile che attraversa in direzione di una vasta foresta di castagni: non lontano ci sono le baite di Impertorto (toponimo trovato solo su CTR), agglomerato di stalle per numerose capre, dove le tracce scompaiono. Occorre quindi procedere un po' a caso nel bosco: è possibile che esista un sentiero, ma attualmente la gran quantità di fogliame - perdipiù assai smossa dalle capre alla ricerca di cibo - impedisce comunque di riconoscerlo; procedendo di rudere in rudere e di baita in baita, si oltrepassa Stabineras (altro riscontro solo su CTR) e si scende gradualmente in vista del Piano dei Gorghigli: una sterrata finale accompagna fino alla omonima chiesetta. Qui si incrocia la provinciale per Livo e, seguendola a sinistra, si attraversa il paese si torna al punto di partenza.
https://www.relive.cc/view/vMv85z94nNO
Dal parcheggio si segue la carrozzabile per Dangri oltrepassando la chiesa di San Giacomo vecchia e continuando fino a raggiungere la seconda carrabile che sale a sinistra, proprio prima di un gruppo di baite. Dopo una casa in ristrutturazione il sentiero si perde ed occorre salire come meglio possibile ai ruderi soprastanti; l'erba ricopre ormai ogni traccia di passaggio recente, ma nel pendio si leggono un poco i dimenticati percorsi del bestiame da pascolo. Evitando sulla sinistra di entrare in uno scomodo canale, si attraversa una placchetta rocciosa ben appigliata (da usare si e no le mani...) e più agevolmente si arriva ad attraversare una strada asfaltata: è la pista a pedaggio Livo-Campo Faido che inizia all'altezza del parcheggio iniziale. Sulla sponda superiore, con buon sentiero erboso, si procede paralleli ad una teleferica di rifornimento alle baite sparse soprastanti di Faido: è una comunità molto diffusa di ruderi, stalle, abitazioni e quasi-villette che precede l'impennata del pendio che non darà tregua fino all'addolcirsi del crinale. Si procede attraverso un vero e proprio "pagliaio" di alte erbe secche coricate a terra dall'ultima scomparsa nevicata, ma fortunatamente per qualche centinaio di metri - fino ad un appostamento fisso di caccia agli ungulati - sotto la coltre vegetale si può trovare qualche gradinamento formatosi dai passaggi ripetuti. Più oltre non è raro usare le mani per mantenere l'equilibrio nei passaggi più sdrucciolevoli, procedendo comunque in modo da aggirare i tratti più ripidi: si entra temporaneamente in uno splendido boschetto di betulle, poi si traversa a destra portandosi nei pressi di una vecchia linea di filo spinato che pare disposta a dividere antiche pertinenze; ma ormai ci si è avvicinati alla zona di rimboschimento sommitale. Il terreno si spiana molto fra gli abeti e, benchè in assenza di sentiero, si raggiunge facilmente in breve il culmine della dorsale: la linea degli alberi si interrompe bruscamente e ci si affaccia definitivamente sui pascoli della lunga cresta sud-est del Monte Duria. Si incrocia subito un sentiero segnalato e lo si segue verso destra portandosi ad una forcella (da sinistra un sentiero diretto da Bodone) dove troviamo la baita di un inaspettato Rifugio Culmine; proseguendo sul largo crinale segnato dal ripetuto passaggio delle moto da trial, si raggiunge un dosso con croce che corrisponde - quotata ma non nominata sulle carte - ad un'anticima sud del Monte La Motta. Il sentiero prosegue intersecando e lasciando sulla destra una pista cementata (che prosegue lungamente andando poi a perdersi nei canaloni franosi alle pendici del Sasso Camoscè e del Monte l'Usciolo) fino ad arrivare alla cupola erbosa del Monte La Motta col suo grosso ometto di pietre. Si scende quindi all'Alpe Paregna dove si trova la pista di servizio che, sterrata e poi cementata ed asfaltata, va percorsa fino ad una curva nei pressi di Bodone. Si procede in discesa oltrepassando qualche breve traverso fino a trovare il primo lontano tornante, dal cui lato esterno si stacca un sentierino poco visibile che attraversa in direzione di una vasta foresta di castagni: non lontano ci sono le baite di Impertorto (toponimo trovato solo su CTR), agglomerato di stalle per numerose capre, dove le tracce scompaiono. Occorre quindi procedere un po' a caso nel bosco: è possibile che esista un sentiero, ma attualmente la gran quantità di fogliame - perdipiù assai smossa dalle capre alla ricerca di cibo - impedisce comunque di riconoscerlo; procedendo di rudere in rudere e di baita in baita, si oltrepassa Stabineras (altro riscontro solo su CTR) e si scende gradualmente in vista del Piano dei Gorghigli: una sterrata finale accompagna fino alla omonima chiesetta. Qui si incrocia la provinciale per Livo e, seguendola a sinistra, si attraversa il paese si torna al punto di partenza.
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