Rifugio Dalmazzi, in cammino con Culaj (Mit deutscher Übersetzung)
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Ho la musica dentro oltre alla montagna, lo ammetto.
E' un insieme di suoni del tutto fisiologici che accompagna ogni mia uscita solitaria in quota, fedeli come un branco di cani pastore si insinuano furtivi tra le pause del pensiero e le istantanee del paesaggio. A volte scorrono solo come leggero sottofondo, in altre diventano grandi protagonisti. Non sono io a scegliere i brani. Le circostanze e le scenografie naturali li decidono, pescando in un immaginario sintetizzatore sensoriale della memoria.
L' accento balcanico e gli zigomi alti dei due ragazzi che mi chiedono informazioni a Freboudze, la mia località di partenza in Val Ferret, sono un invito esplicito al genere che mi seguirà nella salita odierna. Le note verranno dall'est. Ho voglia di violino zingaro oggi, quello protagonista di tante ballate piene di umori, fuoco, danza, notti d'amore, vino e odore di oriente.
Il suono arriva dall'alto, dalla sommità delle rocce che devo raggiungere passando attraverso un prato pieno di vacche bianche e ocra. Vedo il suonatore ondeggiare come un ginepro al vento per seguire la musica che esce dal suo strumento. Non posso sbagliare, è il vecchio Culaj, all'anagrafe Nicolae Neacsu, un violinista rumeno emerso dall'oscurità rurale di un villaggio in Valacchia. Cresciuto in Romania ha sbarcato il lunario tra lavoro agricolo, suonate a matrimoni, funerali, feste del raccolto e vendendo sigarette di contrabbando. Il successo è arrivato tardi e inaspettato.
Le sue doti principali sono la semplicità e l'allegria; ha una tecnica eccezionale senza aver avuto bisogno dello studio. Evidentemente è stato toccato dal genio, che ha ritagliato per lui la nitida figura di violinista. Mentre attraverso il torrente suona un pezzo lento, pastorale, una sorta di Adagio bucolico dove la pece spalmata sull'archetto gratta aspra le corde, rendendo il suono caldo e corposo.
Una volta risalita la pietraia iniziale il sentiero si dispiega su una lunga dorsale costituita dall'argine naturale ora svuotato che conteneva il ghiacciaio del Triolet.
Sembra di camminare su di un muro costruito da un gigante, oppure sulla spina dorsale di un dinosauro seppellito da millenni nella roccia della valle.
Culaj sta sempre davanti a me, appare e scompare come un fantasma; mi accorgo che ha trovato riparo all'ombra di un enorme masso erratico. Sole implacabile oggi. Mi accompagna in questo tratto del cammino con un pezzo dal ritmo che aumenta impercettibilmente ad ogni passo. Anche senza i suoi Taraf de Haidouks (la sua band) riesce a stordire l'aria calda di agosto con una leggera e a tratti nervosa danza sulle corde del violino. Aaah...Muzique des Tziganes direbbero i francesi, Ballata sulle vertebre penso io.
La mulattiera sulla lunga muraglia pietrosa porta al cospetto della parete di roccia grigia, molto più in alto spicca il giallo intenso del rifugio Dalmazzi.
L'inizio del sentiero attrezzato con grosse corde fisse (canaponi) sale tra le rocce in una divertente verticalità. Mentre lo attacco noto che Culaj si è seduto sopra un masso a strapiombo sul ghiacciaio con una sigaretta accesa tra le labbra. Dopo un lungo tiro mi saluta con la mano.
Chissà cosa suonerà ora? Un brano che accompagna la progressione su roccia diverso dall'hard rock non lo riesco ad immaginare.
Le note iniziano lunghe, elementari, proprio come i miei primi movimenti nell'arrampicata, per poi rendersi più brevi e guizzanti senza perdere la loro corposità. Ogni passata sull'archetto è un incitamento, una spinta verso il cielo, una pennellata di groove. Lo definirei...Gravità con brio.
Vorrei poter memorizzare queste melodie, ma non ci riuscirò mai. Non ho il sangue dei Lautari dei Balcani, che quando sentono una melodia sanno riprodurla esattamente e renderla loro. Inoltre il vecchio Culaj lo dice spesso, che il violino è leggero in mano ma difficile da imparare, come la matematica.
Il tratto da arrampicare con passaggi di I e II grado è senza dubbio il più divertente dell'escursione, anche perché è quello che precede la meta. Si sale con lo spettacolo imponente del ghiacciaio del Triolet negli occhi, che pur smagrito dalla torrida estate di quest'anno mantiene sempre la sua algida imponenza.
Superato l'ultimo salto di roccia si accede al piccolo altopiano che ospita il rifugio. Da qui lo spettacolo è imponente: la grande distesa bianca è a poche centinaia di metri da me, frantumata dalle innumerevoli cadute di neve, divisa in migliaia di seracchi. La massa glaciale è una visione di una bellezza antica e pericolosa.
Il violino inizia a cantare, (sì è un canto adesso) la sua è diventata una vera e propria voce. Mi accorgo che il vecchio suonatore è a pochi metri da me sulla piattaforma davanti al rifugio. Infilato nella sua giacca un po' larga, l'immancabile cappello calcato sulla testa e la cravatta fuori moda con il nodo stretto.
Quanto assomigli a mio nonno Nicolae! La stessa magrezza contadina, il sorriso sincero e la pelle solcata da una ragnatela di rughe disegnate da pomeriggi assolati chini sulla terra.
Il tuo violino, piuttosto malridotto, non è affatto pregiato: niente abete rosso della foresta di Paneveggio, materiale dalla risonanza epica noto fin dai tempi di Stradivari. Solo forte legno dei Balcani, umile acero di Bosnia e abete rumeno forse. Dettagli secondari.
L'armonia melodica che esce dalla sua magica improvvisazione è così bella che stringe il cuore in una morsa struggente. Le quattro corde si moltiplicano, Culaj le usa tutte insieme, le pizzica, le accarezza delicatamente, le taglia con l'archetto in modo passionale, a volte triste, a volte ironico. Sembra che il musicista abbia rubato la bellezza della montagna per trasformarla in onde sonore. Un'elegia al sentimento della natura d'alta quota che potrebbe chiamarsi Allegro Incantato.
L'ultima nota lascia nell'aria stupore e dolcezza, mentre il vento in quota soffia raffiche che disperdono la sua malinconia.
Vorrei condividere una bottiglia di vino con il vecchio violinista, sono sicuro che avremmo molto da dirci. Purtroppo posso solo brindare alla sua anima, in quanto Nicolae è morto il tre settembre 2002, esattamente quindici anni fa.
Deutsche Übersetzung
Ich habe außer den Bergen die Musik in mir, ich gebe es zu.
Es ist ein Zusammenspiel von ganz und gar physiologischen Klängen, die jede meiner einsamen Touren in die Höhe begleitet, treu wie ein Haufen von Hirtenhunden, die sich zwischen den Denkpausen und den Momentaufnahmen der Landschaft verstohlen einschleichen. Manchmal laufen sie nur leise im Hintergrund, bei anderen Ausflügen werden sie große Hauptdarsteller. Ich bin nicht derjenige, der die Musikstücke aussucht. Natürliche Umstände und die Landschaft entscheiden die Auswahl, geangelt in einem imaginären sensorischen Synthesizer des Gedächtnisses.
Der Balkan-Akzent und die hohen Backenknochen der beiden Jungs, die nach Freboudze, meinem Ausgangspunkt in Val Ferret, um Auskunft bitten, sind eine ausdrückliche Einladung zu dem Genre, das mir im heutigen Aufstieg folgen wird. Die Noten werden aus dem Osten kommen. Heute habe ich Lust auf Zigeunergeige, den Protagonisten vieler Balladen voller Stimmungen, Feuer, Tanz, Liebesabenden, Wein und orientalischem Geruch.
Der Klang kommt von oben, von der Spitze der Felsen, die ich erreiche, indem ich durch eine Wiese voller weißer und ockerfarbener Kühe gehen muss. Ich sehe, wie sich der Spieler wellenartig wie ein Wacholder im Wind bewegt, um der Musik zu folgen, die aus seinem Instrument kommt. Ich kann mich nicht täuschen, es ist der alte Culaj, auf dem Standesamt mit Namen Nicolae Neacsu, ein rumänischer Geiger, der aus der ländlichen Dunkelheit eines Dorfes in Valacchia aufgetaucht ist. Aufgewachsen in Rumänien hat er sich mit Bauernarbeit, Musik spielen auf Hochzeiten, Beerdigungen, Erntefesten und dem Verkauf von geschmuggelten Zigaretten über Wasser gehalten. Der Erfolg kam spät und unerwartet.
Seine Begabungen sind Einfachheit und Fröhlichkeit; er besitzt eine außergewöhnliche Technik, ohne je studiert zu haben. Offenbar wurde er von dem Genie berührt, das aus ihm die perfekte Geigerfigur erschaffen hat. Aus dem Wildbach erklingt ein langsames, pastorales Stück, eine Art ländliches Adagio, wo das auf den Violinbogen aufgetragene Pech hart die Saiten kratzt und einen warmen und vollen Klang erzeugt.
Sobald das anfängliche steinige Gelände überwunden ist, breitet sich der Weg über einen langen Rücken aus, geschaffen von dem inzwischen zurückgezogenen Triolet-Gletscher.
Es scheint, als ob man auf einer Mauer läuft, die von einem Riesen gebaut wurde oder aber auf dem Rückgrat eines Dinosauriers, der seit Jahrtausenden im Fels des Tales begraben liegt.
Culaj ist immer vor mir, taucht auf und verschwindet wieder wie ein Geist. Ich bemerke, dass er im Schatten eines riesigen Findlings Schutz gefunden hat. So unerbittlich brennt heute die Sonne hernieder. Er begleitet mich auf diesem Abschnitt des Weges mit einem Stück, dessen Tempo bei jedem Schritt unmerklich zunimmt. Auch ohne seine Band Taraf de Haidouks gelingt es ihm, die heiße Luft des Augusts mit einem leichten und manchmal nervösen Tanz auf den Violinsaiten zu betäuben. Aaah ... Muzique des Tziganes würden die Franzosen sagen, „Ballade auf den Wirbeln“ denke ich.
Der Maultierpfad auf der langen Steinmauer führt gegenüber der grauen Felswand entlang, und weit oben sticht das intensive Gelb der Dalmazzi-Hütte hervor.
Der Anfang des mit dicken Seilen (aus Hanf) versicherten Weges steigt mit einer spaßbringenden Abschüssigkeit zwischen den Felsen empor. Während des Klettereinsatzes bemerke ich, dass Culaj sich auf einen überhängenden Felsblock auf dem Gletscher gesetzt hat mit einer angezündeten Zigarette zwischen seinen Lippen. Nach einem langen Zug grüßt er mich mit der Hand.
Wer weiß, was er jetzt spielen wird? Ein Lied, welches das Vorankommen auf Fels anders als mit Hard Rock begleitet, kann ich mir nicht vorstellen.
Die Noten beginnen lange, elementar, genau wie meine ersten Kletterbewegungen, um dann kürzer und zuckend zu werden, ohne aber ihre Körperlichkeit zu verlieren. Jeder Streich auf dem Bogen ist eine Anregung, ein Stoß in Richtung Himmel, ein Pinselstrich von Groove. Ich würde es... „Schwerkraft mit Schwung“ nennen.
Ich möchte diese Melodien speichern können, aber ich werde es nie schaffen. Ich habe nicht das Blut der Lautari des Balkans, die, wenn sie eine Melodie hören wissen, wie man sie genau reproduziert und sie zu einer von ihnen macht. Auch der alte Culaj sagt oft, dass die Violine leicht in der Hand, aber schwer zu lernen sei, so wie Mathe eben.
Das Kletterstück im I. und II. Grad ist zweifellos das, was am meisten Spass macht, denn es ist auch dasjenige, das dem Ziel vorausgeht. Man klettert mit dem beeindruckenden Spektakel des Triolet-Gletschers vor Augen, der, obwohl in diesem glühend heißen Sommer abgemagert, immer noch seine eiskalte Großartigkeit besitzt.
Nach dem felsigen Aufschwung erreiche ich die kleine Hochebene, die die Hütte beherbergt. Von hier aus ist das Spektakel eindrucksvoll: die große weiße Weite ist ein paar hundert Meter von mir entfernt, von den unzähligen Schneefällen unterbrochen, in Tausende von Seracs unterteilt. Die Gletschermasse ist eine Vision einer alten und gefährlichen Schönheit.
Die Violine beginnt zu singen, (ja es ist jetzt ein Lied) aus ihr wurde nun eine richtige Stimme. Ich bemerke, dass der alte Spieler sich ein paar Meter vor mir auf der Rampe des Rifugio befindet. Er steckt in seiner etwas zu großen Jacke, den unverkennbaren Hut auf dem Kopf und der aus der Mode gekommenen Krawatte, mit dem dicken Knoten.
Wie sehr ähnelst du meinem Großvater, Nicolae! Die gleiche bäuerliche Drahtigkeit, das ehrliche Lächeln und die Haut, die von einem Spinnennetz zerfurcht ist, das von sonnigen Nachmittagen über den Boden gebeugt gezeichnet wurde.
Deine Violine, eher verschlissen, ist überhaupt nicht wertvoll: keine Fichte aus dem Paneveggio Wald, dem Material mit der epischen Resonanz, bekannt seit der Zeit der Stradivari. Nur starkes Balkanholz, ärmlicher Ahorn aus Bosnien und rumänische Fichte vielleicht. Sekundäre Details.
Die melodische Harmonie, die aus ihrer magischen Improvisation herauskommt, ist so schön, dass sie das Herz wie in einem Schraubstock zusammenhält und nicht mehr loslässt. Die vier Saiten vereinigen sich, Culaj benutzt sie alle zusammen, drückt sie, streichelt sie sanft, schneidet sie mit dem Bogen in einer leidenschaftlichen, manchmal traurigen, manchmal ironischen Weise. Es scheint, dass der Musiker die Schönheit des Berges gestohlen hat, um sie in Schallwellen zu transformieren. Eine Elegie zum Gefühl der Natur in der Höhe, die sich verzauberte Heiterkeit (Allegro incantato) nennen könnte.
Die letzte Note hinterlässt in der Luft Staunen und Süße, während der Wind in großer Höhe in Böen umherbläst, welche die Melancholie zerstreuen.
Ich möchte eine Flasche Wein mit dem alten Violinisten teilen. Ich bin sicher, wir hätten uns viel zu erzählen. Leider kann ich nur auf seine Seele anstoßen, denn Nicolae starb am 3. September 2002, heute genau vor fünfzehn Jahren.
Übersetzung von winterbaer. Wenige Korrekturen von seeger
soundtrack: Nicolae Neacsu "Balada Conducatorolui "
https://youtu.be/IlWLuchrMuQ
Communities: Hikr in italiano, Ticino Selvaggio, Alleingänge/Solo, Bergphilosoph(i)en, Hütte / Cabane / Capanna / Chamanna, Meta: Community über Hikr, ÖV Touren, Schneeschuhtouren
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