Malnago - Erna - Creste nord - Resegone
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Vedi anche: Video salita
La bellezza della giornata è inversamente proporzionale alla voglia di alzarsi dal letto, per cui faccio in tempo a sentire il campanile di Malnago battere i dodici rintocchi del mezzodì, prima che la mia vettura sia parcheggiata davanti alla stazione della funivia dei piani d'Erna. In realtà un po' più sotto, perché la soleggiata giornata agostana ha attratto orde di turisti da ogni dove e il parcheggio è pieno raso.
Calzate le scarpette da trekking, la principale difficoltà è trovare l'attacco del sentiero, che cerco inutilmente accanto all'edificio della funivia. Un rapido giro d'orizzonte e un tabellone grosso come un monolocale non lascia dubbi: ovunque si voglia andare, da lì bisogna passare. La traccia un po' sconnessa inizia dal lato più ombreggiato del parcheggio (quello a sud) e scende ad arco dalla collinetta, terminando sull'asfalto della strada che conduce a un agriturismo.
Dopo un po' l'asfalto finisce, ma la salita rimane altrettanto tediosa, su un'acciottolata d'altri tempi. Infatti, dopo una ventina di minuti di cammino, una targa metallica infissa su una roccia ricorda che il sentiero n°1 esiste dal lontano 1899! La nota positiva è che la giornata non è torrida e che la traccia corre lungamente sotto fresche frasche, evitando così un'insolazione immediata.
La pendenza aumenta leggermente ma è solo sulla breve rampa del nucleo rurale di Costa che bisogna prestare attenzione a non tirarsi ginocchiate sui denti. Qualche zig zag nel bosco e, una quarantina di minuti dopo la partenza, rendo omaggio al rifugio Stoppani. Non mi faccio però tentare dai profumi che si levano dalle tavolate e procedo immediatamente oltre, perché la distanza (e il dislivello) da percorrere sono ancora notevoli.
Segue un tratto quasi in falsopiano, a mezza costa nel bosco, ed è il momento di prendere la prima decisione della giornata. Una freccia indica i piani d'Erna su verso sinistra, per un sentiero definito "della Sponda". La mia cartina a 50.000 non è di grande aiuto, perché ha una risoluzione che permetterebbe a malapena di impiegarla come carta stradale, al posto di quella del Touring Club. La via mi pare più diretta del sentiero n°1 che proseguirebbe orizzontale e quindi mi fido dell'istinto, seguendola su per il bosco. La traccia sale un po' sconnessa su per il pendio, talvolta zig-zagando e talvolta affrontandolo di petto. Quando ormai inizio ad avere seri dubbi sull'effettiva altezza del pizzo d'Erna (che fossero 2.300 e non 1.300 metri?), si esce finalmente su un prato, si bordeggia sotto la cima del cucuzzolo e infine si scende nel catino erboso, dove c'è il crocevia di tutti i sentieri.
Sino a qui, è trascorsa circa un'ora e un quarto da quando ho calcato l'asfalto del piazzale della funivia. Forse perché la selletta è anche crocevia di tutti i venti che passano di qui, ma il clima è davvero piacevole e ventilato, al punto che mi passa quasi la voglia di procedere oltre. La croce del Resegone sembra lì a un tiro di schioppo e alla fine, consumato il mio frugale pranzo al sacco, mi rimetto in marcia verso il passo del Giuff.
Quando vedo il primo cartello segnavia, resto quasi a bocca aperta: "Wow, solo mezz'ora!". Sarà la mezz'ora più lunga della mia vita, perché solo 35 minuti dopo scollinerò alla selletta boscosa del Giuff, che su alcune vetuste cartine è segnata col roboante nome di passo del Giovo. Il sentiero è comunque piacevole, perché corre tutto nel bosco e guadagna quota con gradualità, se non fosse per un paio di tornanti un po' più ripidi alla fine.
Altra rapida sosta per bere (non che non abbia sfruttato il paio di sorgenti sapientemente disseminate lungo il percorso ...) e mi lancio su per il crinale. La nuova palina segnavia indica ancora 1 ora e mezza per la cima e, se i tempi sono stati calcolati dagli stessi sinistri figuri che hanno piantato quella precedente, sono abbastanza preoccupato di poter vedere quel ramo del lago di Como solo sotto la flebile luce della luna.
La traccia si fa subito più ripida, pochi minuti dopo si esce dal bosco ed è già il momento di sgattaiolare tra le roccette, che qua e là si frappongono al passaggio. Raggiunto il primo cucuzzolo, che la mia cartina stradale quota 1.651 m, il panorama si fa già interessante: il lunghissimo crinale del Resegone si dispiega come un gigantesco arco verdeggiante verso sinistra; sul lato opposto, fanno bella mostra di sè le Grigne e la Valsassina, nonché tutte le prealpi bergamasche.
Segue un'altra prominenza quasi impercettibile e poi c'è da rimontare, più faticosamente, quello che dovrebbe essere il pizzo di Morterone. L'ascesa è sicuramente redditizia dal punto di vista paesaggistico, perché sotto si intravede già meglio l'ampio bacino di Lecco, ma del tutto inutile in termini escursionistici, perché un attimo dopo c'è da perdere quasi tutta la quota faticosamente guadagnata negli ultimi 10 minuti. Cercandola con un po' di attenzione, c'era sicuramente una traccia che correva sul fianco della prominenza e che avrebbe evitato di risalirla.
I due successivi cucuzzoli (il pizzo dei Galli e il pan di Zucchero) sono puramente scenografici, perché vengono solo lambiti dal sentiero. Anzi, il secondo non è neppure scenografico, dato che un gigantesco ripetitore ne sfregia la cima (un po' come quella del piz Boè nel gruppo del Sella). Ma tant'è: questi sono le infrastrutture tecnologiche che consentono ai maniaci di Whatsapp di rimanere connessi h24.
Dopo avere rifiatato un po', c'è da rimontare più faticosamente la cima Pozzi, che si differenzia dalle precedenti per essere più marcatamente rocciosa, ma che non presenta difficoltà particolari. Raggiunto il suo culmine, che è di nuovo una cupola erbosa, la cima del Resegone sembra davvero vicina e allora mi concedo un'altra sosta idrica, prima di dare inizio all'ultimo sali-scendi.
La calata sino alla selletta del canalone Bobbio è così ripida che potrebbe essere valida come immersione per prendere il brevetto da sommozzatore. Per fortuna non ho le bombole sulle spalle, perché manca ancora un po' di dislivello, per raggiungere l'agognata cima, e la lancetta della benzina sta pericolosamente avvicinandosi alla riserva.
Le prime due punte vengono solo costeggiate (potrebbero essere il dente del Resegone e la punta Manzoni, sempre a fidarsi della mia cartina stradale, che le colloca con una precisione di 1 km), mentre la terza viene risalita quasi per intero, seguendo una traccia con un paio di tornanti, che era ben visibile già dalla cima Pozzi. Ultima discesina fino alla selletta del canalone Comera e poi il traguardo è davvero vicino. Aggirata alla base la piramide pratosa della prominenza principale, vedo una traccia non molto evidente che spara su dritta verso la croce e decido di seguirla. Seguono gli ultimi 5 minuti di calvario (sarebbe stato decisamente meglio andare sino al rifugio Azzoni e poi risalire per la più comoda scalinata) e sbuco sulla piazza d'armi della vetta proprio mentre un ragazzino sta immortalando col cellulare il panorama, invero un po' celato dalla foschia, delle prealpi bergamasche. Appoggio i miei averi (e soprattutto il mio fondoschiena) nell'unico angolino libero, riprendo un attimo fiato e poi do un'occhiata al cellulare, per vedere che ore siano. Sono più o meno le 15:30, per cui ho impiegato circa 3:15 lorde e 2:45 al netto delle varie soste compiute strada facendo.
Non sono un appassionato fotografo, per cui non ci sono immagini della salita. In compenso, la fida GoPro è rimasta accesa tutto il tempo e quindi c'è un time lapse in cui le 2:45 sono state compresse in poco più di sette minuti:
Video salita
La discesa è invece descritta qui
La bellezza della giornata è inversamente proporzionale alla voglia di alzarsi dal letto, per cui faccio in tempo a sentire il campanile di Malnago battere i dodici rintocchi del mezzodì, prima che la mia vettura sia parcheggiata davanti alla stazione della funivia dei piani d'Erna. In realtà un po' più sotto, perché la soleggiata giornata agostana ha attratto orde di turisti da ogni dove e il parcheggio è pieno raso.
Calzate le scarpette da trekking, la principale difficoltà è trovare l'attacco del sentiero, che cerco inutilmente accanto all'edificio della funivia. Un rapido giro d'orizzonte e un tabellone grosso come un monolocale non lascia dubbi: ovunque si voglia andare, da lì bisogna passare. La traccia un po' sconnessa inizia dal lato più ombreggiato del parcheggio (quello a sud) e scende ad arco dalla collinetta, terminando sull'asfalto della strada che conduce a un agriturismo.
Dopo un po' l'asfalto finisce, ma la salita rimane altrettanto tediosa, su un'acciottolata d'altri tempi. Infatti, dopo una ventina di minuti di cammino, una targa metallica infissa su una roccia ricorda che il sentiero n°1 esiste dal lontano 1899! La nota positiva è che la giornata non è torrida e che la traccia corre lungamente sotto fresche frasche, evitando così un'insolazione immediata.
La pendenza aumenta leggermente ma è solo sulla breve rampa del nucleo rurale di Costa che bisogna prestare attenzione a non tirarsi ginocchiate sui denti. Qualche zig zag nel bosco e, una quarantina di minuti dopo la partenza, rendo omaggio al rifugio Stoppani. Non mi faccio però tentare dai profumi che si levano dalle tavolate e procedo immediatamente oltre, perché la distanza (e il dislivello) da percorrere sono ancora notevoli.
Segue un tratto quasi in falsopiano, a mezza costa nel bosco, ed è il momento di prendere la prima decisione della giornata. Una freccia indica i piani d'Erna su verso sinistra, per un sentiero definito "della Sponda". La mia cartina a 50.000 non è di grande aiuto, perché ha una risoluzione che permetterebbe a malapena di impiegarla come carta stradale, al posto di quella del Touring Club. La via mi pare più diretta del sentiero n°1 che proseguirebbe orizzontale e quindi mi fido dell'istinto, seguendola su per il bosco. La traccia sale un po' sconnessa su per il pendio, talvolta zig-zagando e talvolta affrontandolo di petto. Quando ormai inizio ad avere seri dubbi sull'effettiva altezza del pizzo d'Erna (che fossero 2.300 e non 1.300 metri?), si esce finalmente su un prato, si bordeggia sotto la cima del cucuzzolo e infine si scende nel catino erboso, dove c'è il crocevia di tutti i sentieri.
Sino a qui, è trascorsa circa un'ora e un quarto da quando ho calcato l'asfalto del piazzale della funivia. Forse perché la selletta è anche crocevia di tutti i venti che passano di qui, ma il clima è davvero piacevole e ventilato, al punto che mi passa quasi la voglia di procedere oltre. La croce del Resegone sembra lì a un tiro di schioppo e alla fine, consumato il mio frugale pranzo al sacco, mi rimetto in marcia verso il passo del Giuff.
Quando vedo il primo cartello segnavia, resto quasi a bocca aperta: "Wow, solo mezz'ora!". Sarà la mezz'ora più lunga della mia vita, perché solo 35 minuti dopo scollinerò alla selletta boscosa del Giuff, che su alcune vetuste cartine è segnata col roboante nome di passo del Giovo. Il sentiero è comunque piacevole, perché corre tutto nel bosco e guadagna quota con gradualità, se non fosse per un paio di tornanti un po' più ripidi alla fine.
Altra rapida sosta per bere (non che non abbia sfruttato il paio di sorgenti sapientemente disseminate lungo il percorso ...) e mi lancio su per il crinale. La nuova palina segnavia indica ancora 1 ora e mezza per la cima e, se i tempi sono stati calcolati dagli stessi sinistri figuri che hanno piantato quella precedente, sono abbastanza preoccupato di poter vedere quel ramo del lago di Como solo sotto la flebile luce della luna.
La traccia si fa subito più ripida, pochi minuti dopo si esce dal bosco ed è già il momento di sgattaiolare tra le roccette, che qua e là si frappongono al passaggio. Raggiunto il primo cucuzzolo, che la mia cartina stradale quota 1.651 m, il panorama si fa già interessante: il lunghissimo crinale del Resegone si dispiega come un gigantesco arco verdeggiante verso sinistra; sul lato opposto, fanno bella mostra di sè le Grigne e la Valsassina, nonché tutte le prealpi bergamasche.
Segue un'altra prominenza quasi impercettibile e poi c'è da rimontare, più faticosamente, quello che dovrebbe essere il pizzo di Morterone. L'ascesa è sicuramente redditizia dal punto di vista paesaggistico, perché sotto si intravede già meglio l'ampio bacino di Lecco, ma del tutto inutile in termini escursionistici, perché un attimo dopo c'è da perdere quasi tutta la quota faticosamente guadagnata negli ultimi 10 minuti. Cercandola con un po' di attenzione, c'era sicuramente una traccia che correva sul fianco della prominenza e che avrebbe evitato di risalirla.
I due successivi cucuzzoli (il pizzo dei Galli e il pan di Zucchero) sono puramente scenografici, perché vengono solo lambiti dal sentiero. Anzi, il secondo non è neppure scenografico, dato che un gigantesco ripetitore ne sfregia la cima (un po' come quella del piz Boè nel gruppo del Sella). Ma tant'è: questi sono le infrastrutture tecnologiche che consentono ai maniaci di Whatsapp di rimanere connessi h24.
Dopo avere rifiatato un po', c'è da rimontare più faticosamente la cima Pozzi, che si differenzia dalle precedenti per essere più marcatamente rocciosa, ma che non presenta difficoltà particolari. Raggiunto il suo culmine, che è di nuovo una cupola erbosa, la cima del Resegone sembra davvero vicina e allora mi concedo un'altra sosta idrica, prima di dare inizio all'ultimo sali-scendi.
La calata sino alla selletta del canalone Bobbio è così ripida che potrebbe essere valida come immersione per prendere il brevetto da sommozzatore. Per fortuna non ho le bombole sulle spalle, perché manca ancora un po' di dislivello, per raggiungere l'agognata cima, e la lancetta della benzina sta pericolosamente avvicinandosi alla riserva.
Le prime due punte vengono solo costeggiate (potrebbero essere il dente del Resegone e la punta Manzoni, sempre a fidarsi della mia cartina stradale, che le colloca con una precisione di 1 km), mentre la terza viene risalita quasi per intero, seguendo una traccia con un paio di tornanti, che era ben visibile già dalla cima Pozzi. Ultima discesina fino alla selletta del canalone Comera e poi il traguardo è davvero vicino. Aggirata alla base la piramide pratosa della prominenza principale, vedo una traccia non molto evidente che spara su dritta verso la croce e decido di seguirla. Seguono gli ultimi 5 minuti di calvario (sarebbe stato decisamente meglio andare sino al rifugio Azzoni e poi risalire per la più comoda scalinata) e sbuco sulla piazza d'armi della vetta proprio mentre un ragazzino sta immortalando col cellulare il panorama, invero un po' celato dalla foschia, delle prealpi bergamasche. Appoggio i miei averi (e soprattutto il mio fondoschiena) nell'unico angolino libero, riprendo un attimo fiato e poi do un'occhiata al cellulare, per vedere che ore siano. Sono più o meno le 15:30, per cui ho impiegato circa 3:15 lorde e 2:45 al netto delle varie soste compiute strada facendo.
Non sono un appassionato fotografo, per cui non ci sono immagini della salita. In compenso, la fida GoPro è rimasta accesa tutto il tempo e quindi c'è un time lapse in cui le 2:45 sono state compresse in poco più di sette minuti:
Video salita
La discesa è invece descritta qui
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