Le tre cascate di Cittiglio
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Entusiasmante gita mattutina dal sapore esplorativo in entusiasmante e selvaggio ambiente , a due passi da casa, in quota inferiore ai cinquecento metri. Eppure, aggrovigliato nella sterpaglia e in bilico sulla scarpata mi è sembrato di tornare indietro di qualche anno, quando nella giungla vera avevo visitato le Maturuni Falls alle falde del Kilimanjaro [http://www.hikr.org/tour/post52527.html ].
La relazione del bravo
morgan non lasciava dubbi riguardo alle difficoltà di questo itinerario e, forse proprio per un riacceso spirito di avventura, alle otto di un mattino limpido e frizzante, mi avvio dalla piazzetta di Cittiglio alta, seguo le frecce, costeggio una bella forra, mi immetto su un'ampia sterrata e arrivo all'area pic nic della prima cascata. Per vederla, devo inoltrarmi per qualche metro nel torrente costeggiandolo alla benemeglio. Nonostante la comprensibile scarsa presenza di acqua, lo spettacolo è affascinante: questo salto d'acqua è alto 43 metri e scende da una gola che il torrente San Giulio si è scavato nella roccia realizzando magnifiche vasche.
Torno sui miei passi e attacco il sentiero per la seconda cascata senza farmi intimorire dai numerosi avvertimenti e divieti di transito. In forte pendenza, la traccia sale ben evidente e talvolta scalinata sino a giungere a monte del primo salto, quindi, su tratti espostissimi e franosi prosegue con pendenze più morbide sino a giungere alla piscina naturale creata dal secondo salto, alto 51 metri e sfacciatamente visibile all'estasiato spettatore, data l'assenza di rocce a compromettere lo sguardo. Dalla prima alla seconda cascata T3.
Proseguo e continuo a salire; sebbene occorre che rimanga concentrato nella progressione, questa risulta tutto sommato agevole perché il sentiero è sempre ben visibile, sino a che, transitando sotto una parete, questo si perde abbastanza improvvisamente. La conformazione del territorio indurrebbe a piegare verso destra e salire il bosco ma, il rumore delle automobili più in alto mi fa pensare ad un'uscita sulla strada per Vararo, errore già commesso da altri, stante alla lettura di qualche relazione. Opto allora per seguire il rumore dell'acqua e mi ritrovo in una giungla di rovi e piante divelte, il tutto di traverso su un pendio di almeno sessanta gradi. Sotto i piedi, foglie secche e terriccio franoso. Per fortuna, nel bosco le maniglie non mancano e così procedo con grande lentezza scalvando tronchi o strisciandogli sotto, come una biscia e sperando di andare nella direzione esatta. La conferma arriva presto quando, una decina di metri sotto di me, intravvedo una traccia che vado a prendere non senza difficoltà. Questa traccia si fa sempre più ampia ed entra in un valloncello percorso dal torrente. Lo scroscio dell'acqua corrente mi infonde fiducia sulla bontà dlla direzione e mi determina a ravanare tra acqua e terra e spine balzando ora di qua ora di là del corso d'acqua sinchè, cadente da una orridissima parete, ecco la terza cascata.
E per la terza volta resto a bocca aperta di fronte a questa bellezza (altezza 56 metri) che vorrei definire oggettiva perché non è possibile pensare al brutto in questo posto. L'ultimo tratto per arrivare qui è T4 ma per massimizzare definitivamente la goduria occorrerebbe risalire un ultimo roccione che preclude in parte la vista e dall'apice del quale - immagino - avrò una visione totale della cascata. Ci penso su un attimo quindi comincio ad arrampicare facilitato da una corda su roccia verticale e umidissima. A tre quarti della "via" le difficoltà (causa piccolo strapiombo), si fanno notevoli; probabilmente riuscirei a salire, mi preoccupa la discesa. In un ambiente solitario e selvaggissimo, cadessi di qui, mi ritroverebbe qualche fungiatt il prossimo autunno. Decido pertanto per una rinuncia e studio le possibilità di discesa. Appena appoggio un piede, questo scivola. Mi aggrappo alla corda e mi fermo. Ci penso su, mi passo la stessa corda tra la gamba e la spalla e mi calo alla vecchia maniera, come ho visto fare al grande Bonatti in qualche video. Il quale, buonanima, si sarà rivoltato nella tomba nel veder applicare così barbaramente la sua tecnica. Ma avrà anche guardato giù perché tra un sospiro e l'altro, in un tempo che non saprei definire, mi ritrovo finalmente con i piedi per terra, al sicuro.
Dopo ampia pausa a godermi l'ambiente e rivivere il mio sgangherato film, mi avvio per il ritorno. Qualche decina di metri dopo la cascata, alzo lo sguardo a sinistra e sopra un canale, vedo un palo della corrente elettrica, di quelli che passano sulla strada verso Vararo. Attraverso il torrente e seguo un'esile traccia che in fortissima pendenza mi porta su. Più in alto, la traccia si fa più evidente e ci sono segni di (soliti) animali, tipo lattine e bottiglie a terra. Un paio di ferri conficcati nel terreno rappresentano l'ultimo aiuto prima di sbucare sulla sospirata strada.
Per chi volesse fare il percorso delle cascate a ritroso o più semplicemente dare uno sguardo veloce alla terza è possibile scendere (con cautela) di qui, tra il km 3 e 4 della strada, all'altezza di uno slargo. Ho costruito un ometto di segnalazione, se dura.
Percorro qualche chilometro su asfalto e torno (tagliando per via II Novembre) rapidamente all'auto, dopo due ore e mezza di avventura totale.
Sviluppo: 6 km; SE: 8,5 km circa.
Senza fermarsi e senza perdere tempo dove non si è capaci, i tempi sono dimezzabili.
La relazione del bravo

Torno sui miei passi e attacco il sentiero per la seconda cascata senza farmi intimorire dai numerosi avvertimenti e divieti di transito. In forte pendenza, la traccia sale ben evidente e talvolta scalinata sino a giungere a monte del primo salto, quindi, su tratti espostissimi e franosi prosegue con pendenze più morbide sino a giungere alla piscina naturale creata dal secondo salto, alto 51 metri e sfacciatamente visibile all'estasiato spettatore, data l'assenza di rocce a compromettere lo sguardo. Dalla prima alla seconda cascata T3.
Proseguo e continuo a salire; sebbene occorre che rimanga concentrato nella progressione, questa risulta tutto sommato agevole perché il sentiero è sempre ben visibile, sino a che, transitando sotto una parete, questo si perde abbastanza improvvisamente. La conformazione del territorio indurrebbe a piegare verso destra e salire il bosco ma, il rumore delle automobili più in alto mi fa pensare ad un'uscita sulla strada per Vararo, errore già commesso da altri, stante alla lettura di qualche relazione. Opto allora per seguire il rumore dell'acqua e mi ritrovo in una giungla di rovi e piante divelte, il tutto di traverso su un pendio di almeno sessanta gradi. Sotto i piedi, foglie secche e terriccio franoso. Per fortuna, nel bosco le maniglie non mancano e così procedo con grande lentezza scalvando tronchi o strisciandogli sotto, come una biscia e sperando di andare nella direzione esatta. La conferma arriva presto quando, una decina di metri sotto di me, intravvedo una traccia che vado a prendere non senza difficoltà. Questa traccia si fa sempre più ampia ed entra in un valloncello percorso dal torrente. Lo scroscio dell'acqua corrente mi infonde fiducia sulla bontà dlla direzione e mi determina a ravanare tra acqua e terra e spine balzando ora di qua ora di là del corso d'acqua sinchè, cadente da una orridissima parete, ecco la terza cascata.
E per la terza volta resto a bocca aperta di fronte a questa bellezza (altezza 56 metri) che vorrei definire oggettiva perché non è possibile pensare al brutto in questo posto. L'ultimo tratto per arrivare qui è T4 ma per massimizzare definitivamente la goduria occorrerebbe risalire un ultimo roccione che preclude in parte la vista e dall'apice del quale - immagino - avrò una visione totale della cascata. Ci penso su un attimo quindi comincio ad arrampicare facilitato da una corda su roccia verticale e umidissima. A tre quarti della "via" le difficoltà (causa piccolo strapiombo), si fanno notevoli; probabilmente riuscirei a salire, mi preoccupa la discesa. In un ambiente solitario e selvaggissimo, cadessi di qui, mi ritroverebbe qualche fungiatt il prossimo autunno. Decido pertanto per una rinuncia e studio le possibilità di discesa. Appena appoggio un piede, questo scivola. Mi aggrappo alla corda e mi fermo. Ci penso su, mi passo la stessa corda tra la gamba e la spalla e mi calo alla vecchia maniera, come ho visto fare al grande Bonatti in qualche video. Il quale, buonanima, si sarà rivoltato nella tomba nel veder applicare così barbaramente la sua tecnica. Ma avrà anche guardato giù perché tra un sospiro e l'altro, in un tempo che non saprei definire, mi ritrovo finalmente con i piedi per terra, al sicuro.
Dopo ampia pausa a godermi l'ambiente e rivivere il mio sgangherato film, mi avvio per il ritorno. Qualche decina di metri dopo la cascata, alzo lo sguardo a sinistra e sopra un canale, vedo un palo della corrente elettrica, di quelli che passano sulla strada verso Vararo. Attraverso il torrente e seguo un'esile traccia che in fortissima pendenza mi porta su. Più in alto, la traccia si fa più evidente e ci sono segni di (soliti) animali, tipo lattine e bottiglie a terra. Un paio di ferri conficcati nel terreno rappresentano l'ultimo aiuto prima di sbucare sulla sospirata strada.
Per chi volesse fare il percorso delle cascate a ritroso o più semplicemente dare uno sguardo veloce alla terza è possibile scendere (con cautela) di qui, tra il km 3 e 4 della strada, all'altezza di uno slargo. Ho costruito un ometto di segnalazione, se dura.
Percorro qualche chilometro su asfalto e torno (tagliando per via II Novembre) rapidamente all'auto, dopo due ore e mezza di avventura totale.
Sviluppo: 6 km; SE: 8,5 km circa.
Senza fermarsi e senza perdere tempo dove non si è capaci, i tempi sono dimezzabili.
Tourengänger:
rochi

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