Monte Zebrù 3740 m
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Vista da
cristina
Appuntamento annuale con gli amici del Cai di Villa Carcina per una due giorni in Val Zebrù che prevede la salita al Monte Zebrù. Tutti pensavamo fosse una cima di poca importanza e poco frequentata, invece….è possibile che tutti abbiamo trovato il rifugio Pizzini al completo e abbiano dovuto dirottare la salita al fratello minore del Gran Zebrù come è successo al nostro gruppo? Non so, fatto sta che domenica mattina c’erano troppe cordate su quella cima…
Previsioni per il week-end non eccezionali e, di fatto, sabato mattina a Bormio piove e anche bene. Rinunciamo al giro che volevamo fare per arrivare al rifugio V° Alpini e aspettiamo il resto del gruppo in un bar di Bormio.
Poco dopo le 9.00 lasciamo il posteggio di Niblogo per affrontare la lunga lunghissima risalita della Val Zebrù. A parte noi non c’è nessuno in giro e tra una chiacchiera e l’altra arriviamo alla Baita del Pastore dove arrivano le jeep abilitate al trasporto passeggeri, (si risparmiano 9 km e 500 m di dislivello circa). Mezz’oretta di sosta per prendere il coraggio di salire la rampa finale. La strada prosegue ancora ed è stata allungata e, anche se si restringe un poco, arriva a circa 50 sotto il rifugio. L’esperimento di approvvigionamento del rifugio tramite asino è fallito miseramente…ora con questa strada anche una piccola jeep può arrivare ai piedi del rifugio, Ognuno tragga le sue considerazioni...
Il pomeriggio al rifugio è sempre lungo da passare. Appena sembra schiarire un attimo saliamo ai piedi del ghiacciaio per vedere di che morte morire il giorno dopo. Qui si scatenano le varie proposte su come raggiungere il vallone da risalire senza perdere troppa quota, ne approfitto per scattare foto, tanto sono loro gli esperti per cui meglio non mettere bocca. Tra un passaggio di nubi e un altro s’intravvede un paesaggio grandioso.
Tornati al rifugio ci prepariamo alla lunga attesa per la cena, che sarà anche una lunga cena. Questo è il primo week end di apertura e forse non hanno ancora ripreso la mano, per fortuna l’allegra compagnia fa passare in secondo piano i morsi della fame.
Le poche ore di sonno passano velocissime e mi sembra di essere appena andata a dormire quando sento la sveglia suonare.
La giornata è buona, cielo sereno ma la temperatura sembra già altina. Giunti al ghiacciaio dove ci apprestiamo alle operazioni di legatura, ramponatura ecc ci rendiamo immediatamente conto che la condizione della neve è pessima, la notte non ha rigelato per cui i primi 500 m di risalita saranno un calvario. Io me la cavo un poco meglio dei miei compagni di cordata, essendo più leggera, ma loro da subito vedo che patiscono parecchio.
Intorno ai 3200 finalmente la situazione sembra migliorare, arriviamo ai piedi del bivacco Città di Cantù dove ci accoglie sia il sole sia un forte vento.
Dobbiamo fermarci per coprirci, raggrupparci con i nostri compagni e decidere come affrontare la rampa finale. Arrivano intanto anche le altre cordate. Breve sosta per tutti e poi si riparte.
Siamo la terza cordata e fatichiamo non poco a salire, per me e Marco è la prima salita così ripida, oltre al fatto che quest’anno non siamo mai andati oltre i 2400 m di quota. Temo che una ventata più forte del normale mi spazzi via per cui non alzo quasi mai la testa e proseguo seguendo passo passo le impronte di Marco, ogni tanto lo vedo fermo più del normale nel tentativo di allargare la traccia. Finito il lungo traverso si sale ancora sempre più ripidi, ora comincio anche a preoccuparmi sul come farò a scendere, meglio non pensarci tanto ormai sono qui.
Arriviamo quindi a pochi metri dalla cima, il crepaccio terminale è aperto, tutte le cordate sono ora ferme per vedere come fare a passare, Alessandro sale per vedere le condizioni del crepo e prova a passare in qualche punto poi scende, io sono molto titubante e glielo dico, mi lascia libera di scegliere se me la sento continuiamo altrimenti si scende, Marco non si pronuncia. Nel frattempo una cordata alla nostra destra guidata da una guida alpina o istruttore non lo abbiamo capito, si muove, o meglio l’istruttore/guida riesce a passare il crepo, assicura i suoi e comincia a tirarli su quasi di peso per farli passare. Anche uno dei nostri passa il crepo e comincia a piantare un chiodo. Vista la situazione dico ad Alessandro di proseguire ma, la guida/istruttore fregandosene bellamente delle 20 e più persone che sostavano pochi metri sotto di loro, una volta passato il crepo va a prendere le roccette e comincia, lui e naturalmente quelli che lo seguono, a mandar giù sassi, involontariamente d’accordo ma vista la natura della montagna poteva immaginarselo! C’è anche un battibecco, di cui non mi ero accorta, tra uno dei nostri e una di questa cordata e intanto la situazione non si mette bene, continua a scendere terra e sassi, non possiamo rimanere qui ad aspettare che escano dalle roccette, troppo pericoloso. Infatti, poco dopo i capi cordata decretano il termine della salita, si scende…
Noi siamo i primi a prendere la via del ritorno perché appena abbiamo sentito le scariche ci siamo girati e senza neanche parlarci abbiamo fatto dietro-front. A ruota anche gli altri ci hanno seguito, e così grazie al menefreghismo di una persona che a tutti costi e a discapito di tutto ha voluto portare i suoi in cima, tutti gli altri hanno dovuto rinunciare.
La discesa non mi dà alcun problema, ormai si è creato un pistone. Risaliamo al bivacco e ci raduniamo nello spiazzetto antistante al riparo dal vento. Stefano lascia la bandierina della sezione al bivacco, facciamo un poco di foto, si mangia, si beve, si cerca di riconoscere le cime. Intanto il tempo comincia a cambiare, lasciamo il posto ad altre cordate che non hanno nemmeno tentato la salita e prendiamo la via del ritorno su una neve terribile. Appena vediamo i primi affioramenti della morena ci dirigiamo lì, via tutto, tanto ormai di crepi non ce ne sono più. Ora liberi e senza ramponi letteralmente voliamo al punto di partenza della mattina. Prima di scendere al rifugio diamo uno ultimo sguardo indietro, stanno arrivando tutti, salutiamo il ghiacciaio e scendiamo.
Ricomponiamo gli zaini, mangiamo qualcosa, ci riposiamo un poco e ci scambiamo le opinioni su quanto è successo. Sarebbe bastato solo un poco di buon senso da parte di chi è salito per primo per dare la possibilità a tutti di farlo. Anche se non sembra, penso che a tutti sia rimasto un po’ di amaro in bocca, soprattutto a Patrick che già si stava prodigando per rendere più sicura la salita a tutti.
Un grazie sincero agli amici del Cai di Villa Carcina. Anche se la cima c’è sfuggita l’uscita non ha perso la sua bellezza. Alla prossima.
Vista da
Marco27
Aggiungo solo una mia considerazione su quanto accaduto qualche metro sotto la vetta del Monte Zebrù, perché, da professionista, proprio non mi riesce di evitarlo.
Per farlo però devo tornare brevemente sulla cronaca. Siamo la prima cordata ad approcciarsi alla crepaccia terminale; Alessandro cerca un punto dove passare sulla sinistra, solo che anche i ponti che sembrano tenere, in realtà cedono al minimo sforzo impresso con la piccozza. Torna brevemente verso il basso, e gli propongo di mettere in sicurezza il passaggio, decidendo poi se far passare tutti in conserva, o con gli autobloccanti . Siamo in 12, come da prassi ognuno di noi ha con se almeno due viti da ghiaccio e inoltre abbiamo con noi una corda in più: volessimo, potremmo piantare una serie di viti una a meno di un metro dall’altra e mettere l’ultima esattamente sulla cima.
Intanto che aspettiamo la cordata del presidente di sezione, la cui responsabilità travalica quella dei capi cordata, e al quale spetta quindi l’ultima parola, comincia la sagra del demente. Arrivano tutte le altre cordate degli infoiati da cima a tutti i costi, e cominciano a sondare il crepo anche dove è palesemente impossibile passare, anche quei ponti dove si vede a decine di metri che basterebbe una mosca a farli crollare. Assisto compatendoli a questa fiera fatta di beoti con gli occhi iniettati di sangue e la gocciolina di bava all’angolo della bocca, annientati dal pensiero che potrebbero anche non arrivare in cima.
A un certo punto quello che si dice in giro essere una guida alpina (fatto da prendere con beneficio d'inventario), riesce a tuffarsi con la picca sull’altro lato della crepaccia, si arrampica in qualche maniera e solleva di peso i suoi accompagnati oltre l’ostacolo. Giunti sull’altro lato, traversano verso sinistra, per poi compiere un’inversione a 180° e tornare verso destra sulle roccette; appena mettono piede sulle rocce, lasciano cadere blocchi di neve, pezzi di ghiaccio e sassi, proprio nella direzione di tutti coloro che stavano sotto e aspettavano di poter passare. Noi cerchiamo di toglierci subito dalla linea di caduta delle pietre, e subito dopo anche gli altri fanno lo stesso.
Si poteva effettivamente aspettare che i rimbambiti tornassero giù, per poi attrezzare, oppure attaccare tutto a destra e portarsi immediatamente sulla cresta, solo che così avremmo potuto a nostra volta lasciar cadere dei sassi e, per rispetto, decidiamo di non farlo; si decide tutti insieme di tornare verso valle e nessuno ha nulla da obiettare.
Premesso che non ho mai avuto la scimmia della cima per forza, e che per me è stata comunque una bellissima giornata passata in allegra compagnia e in un ambiente splendido, la quale non può essere guastata dal fatto che sono arrivato a 23 metri dalla cima per poi tornare indietro, vorrei però soffermarmi sul comportamento di quell’imbecille, guida alpina o istruttore che sia, che pur di passare, ha negato la soddisfazione della vetta a tutti quanti gli altri, e soprattutto ne ha messo a grave rischio l’incolumità, scaricandogli addosso decine di pietre. Imperizia, imprudenza e dolo; questo ineffabile signore, che spero mi stia leggendo, si è reso colpevole di tutte queste colpe, e qualora si trattasse davvero di un professionista, ha anche preso a calci il codice deontologico che da sempre è bagaglio imprescindibile di tutte le Guide degne di questo nome.
Non ho altre parole che disprezzo e pena. Per lui, ma soprattutto per certo “alpinismo”, ormai di moda, che antepone il risultato all’uomo e la prestazione al rispetto per i propri simili.
DATI GPS
Dislivello 1° giorno 1357 m e 12,1 km
Dislivello 2° giorno e 7,1 km
Discesa complessiva 2185 m

Appuntamento annuale con gli amici del Cai di Villa Carcina per una due giorni in Val Zebrù che prevede la salita al Monte Zebrù. Tutti pensavamo fosse una cima di poca importanza e poco frequentata, invece….è possibile che tutti abbiamo trovato il rifugio Pizzini al completo e abbiano dovuto dirottare la salita al fratello minore del Gran Zebrù come è successo al nostro gruppo? Non so, fatto sta che domenica mattina c’erano troppe cordate su quella cima…
Previsioni per il week-end non eccezionali e, di fatto, sabato mattina a Bormio piove e anche bene. Rinunciamo al giro che volevamo fare per arrivare al rifugio V° Alpini e aspettiamo il resto del gruppo in un bar di Bormio.
Poco dopo le 9.00 lasciamo il posteggio di Niblogo per affrontare la lunga lunghissima risalita della Val Zebrù. A parte noi non c’è nessuno in giro e tra una chiacchiera e l’altra arriviamo alla Baita del Pastore dove arrivano le jeep abilitate al trasporto passeggeri, (si risparmiano 9 km e 500 m di dislivello circa). Mezz’oretta di sosta per prendere il coraggio di salire la rampa finale. La strada prosegue ancora ed è stata allungata e, anche se si restringe un poco, arriva a circa 50 sotto il rifugio. L’esperimento di approvvigionamento del rifugio tramite asino è fallito miseramente…ora con questa strada anche una piccola jeep può arrivare ai piedi del rifugio, Ognuno tragga le sue considerazioni...
Il pomeriggio al rifugio è sempre lungo da passare. Appena sembra schiarire un attimo saliamo ai piedi del ghiacciaio per vedere di che morte morire il giorno dopo. Qui si scatenano le varie proposte su come raggiungere il vallone da risalire senza perdere troppa quota, ne approfitto per scattare foto, tanto sono loro gli esperti per cui meglio non mettere bocca. Tra un passaggio di nubi e un altro s’intravvede un paesaggio grandioso.
Tornati al rifugio ci prepariamo alla lunga attesa per la cena, che sarà anche una lunga cena. Questo è il primo week end di apertura e forse non hanno ancora ripreso la mano, per fortuna l’allegra compagnia fa passare in secondo piano i morsi della fame.
Le poche ore di sonno passano velocissime e mi sembra di essere appena andata a dormire quando sento la sveglia suonare.
La giornata è buona, cielo sereno ma la temperatura sembra già altina. Giunti al ghiacciaio dove ci apprestiamo alle operazioni di legatura, ramponatura ecc ci rendiamo immediatamente conto che la condizione della neve è pessima, la notte non ha rigelato per cui i primi 500 m di risalita saranno un calvario. Io me la cavo un poco meglio dei miei compagni di cordata, essendo più leggera, ma loro da subito vedo che patiscono parecchio.
Intorno ai 3200 finalmente la situazione sembra migliorare, arriviamo ai piedi del bivacco Città di Cantù dove ci accoglie sia il sole sia un forte vento.
Dobbiamo fermarci per coprirci, raggrupparci con i nostri compagni e decidere come affrontare la rampa finale. Arrivano intanto anche le altre cordate. Breve sosta per tutti e poi si riparte.
Siamo la terza cordata e fatichiamo non poco a salire, per me e Marco è la prima salita così ripida, oltre al fatto che quest’anno non siamo mai andati oltre i 2400 m di quota. Temo che una ventata più forte del normale mi spazzi via per cui non alzo quasi mai la testa e proseguo seguendo passo passo le impronte di Marco, ogni tanto lo vedo fermo più del normale nel tentativo di allargare la traccia. Finito il lungo traverso si sale ancora sempre più ripidi, ora comincio anche a preoccuparmi sul come farò a scendere, meglio non pensarci tanto ormai sono qui.
Arriviamo quindi a pochi metri dalla cima, il crepaccio terminale è aperto, tutte le cordate sono ora ferme per vedere come fare a passare, Alessandro sale per vedere le condizioni del crepo e prova a passare in qualche punto poi scende, io sono molto titubante e glielo dico, mi lascia libera di scegliere se me la sento continuiamo altrimenti si scende, Marco non si pronuncia. Nel frattempo una cordata alla nostra destra guidata da una guida alpina o istruttore non lo abbiamo capito, si muove, o meglio l’istruttore/guida riesce a passare il crepo, assicura i suoi e comincia a tirarli su quasi di peso per farli passare. Anche uno dei nostri passa il crepo e comincia a piantare un chiodo. Vista la situazione dico ad Alessandro di proseguire ma, la guida/istruttore fregandosene bellamente delle 20 e più persone che sostavano pochi metri sotto di loro, una volta passato il crepo va a prendere le roccette e comincia, lui e naturalmente quelli che lo seguono, a mandar giù sassi, involontariamente d’accordo ma vista la natura della montagna poteva immaginarselo! C’è anche un battibecco, di cui non mi ero accorta, tra uno dei nostri e una di questa cordata e intanto la situazione non si mette bene, continua a scendere terra e sassi, non possiamo rimanere qui ad aspettare che escano dalle roccette, troppo pericoloso. Infatti, poco dopo i capi cordata decretano il termine della salita, si scende…
Noi siamo i primi a prendere la via del ritorno perché appena abbiamo sentito le scariche ci siamo girati e senza neanche parlarci abbiamo fatto dietro-front. A ruota anche gli altri ci hanno seguito, e così grazie al menefreghismo di una persona che a tutti costi e a discapito di tutto ha voluto portare i suoi in cima, tutti gli altri hanno dovuto rinunciare.
La discesa non mi dà alcun problema, ormai si è creato un pistone. Risaliamo al bivacco e ci raduniamo nello spiazzetto antistante al riparo dal vento. Stefano lascia la bandierina della sezione al bivacco, facciamo un poco di foto, si mangia, si beve, si cerca di riconoscere le cime. Intanto il tempo comincia a cambiare, lasciamo il posto ad altre cordate che non hanno nemmeno tentato la salita e prendiamo la via del ritorno su una neve terribile. Appena vediamo i primi affioramenti della morena ci dirigiamo lì, via tutto, tanto ormai di crepi non ce ne sono più. Ora liberi e senza ramponi letteralmente voliamo al punto di partenza della mattina. Prima di scendere al rifugio diamo uno ultimo sguardo indietro, stanno arrivando tutti, salutiamo il ghiacciaio e scendiamo.
Ricomponiamo gli zaini, mangiamo qualcosa, ci riposiamo un poco e ci scambiamo le opinioni su quanto è successo. Sarebbe bastato solo un poco di buon senso da parte di chi è salito per primo per dare la possibilità a tutti di farlo. Anche se non sembra, penso che a tutti sia rimasto un po’ di amaro in bocca, soprattutto a Patrick che già si stava prodigando per rendere più sicura la salita a tutti.
Un grazie sincero agli amici del Cai di Villa Carcina. Anche se la cima c’è sfuggita l’uscita non ha perso la sua bellezza. Alla prossima.
Vista da

Aggiungo solo una mia considerazione su quanto accaduto qualche metro sotto la vetta del Monte Zebrù, perché, da professionista, proprio non mi riesce di evitarlo.
Per farlo però devo tornare brevemente sulla cronaca. Siamo la prima cordata ad approcciarsi alla crepaccia terminale; Alessandro cerca un punto dove passare sulla sinistra, solo che anche i ponti che sembrano tenere, in realtà cedono al minimo sforzo impresso con la piccozza. Torna brevemente verso il basso, e gli propongo di mettere in sicurezza il passaggio, decidendo poi se far passare tutti in conserva, o con gli autobloccanti . Siamo in 12, come da prassi ognuno di noi ha con se almeno due viti da ghiaccio e inoltre abbiamo con noi una corda in più: volessimo, potremmo piantare una serie di viti una a meno di un metro dall’altra e mettere l’ultima esattamente sulla cima.
Intanto che aspettiamo la cordata del presidente di sezione, la cui responsabilità travalica quella dei capi cordata, e al quale spetta quindi l’ultima parola, comincia la sagra del demente. Arrivano tutte le altre cordate degli infoiati da cima a tutti i costi, e cominciano a sondare il crepo anche dove è palesemente impossibile passare, anche quei ponti dove si vede a decine di metri che basterebbe una mosca a farli crollare. Assisto compatendoli a questa fiera fatta di beoti con gli occhi iniettati di sangue e la gocciolina di bava all’angolo della bocca, annientati dal pensiero che potrebbero anche non arrivare in cima.
A un certo punto quello che si dice in giro essere una guida alpina (fatto da prendere con beneficio d'inventario), riesce a tuffarsi con la picca sull’altro lato della crepaccia, si arrampica in qualche maniera e solleva di peso i suoi accompagnati oltre l’ostacolo. Giunti sull’altro lato, traversano verso sinistra, per poi compiere un’inversione a 180° e tornare verso destra sulle roccette; appena mettono piede sulle rocce, lasciano cadere blocchi di neve, pezzi di ghiaccio e sassi, proprio nella direzione di tutti coloro che stavano sotto e aspettavano di poter passare. Noi cerchiamo di toglierci subito dalla linea di caduta delle pietre, e subito dopo anche gli altri fanno lo stesso.
Si poteva effettivamente aspettare che i rimbambiti tornassero giù, per poi attrezzare, oppure attaccare tutto a destra e portarsi immediatamente sulla cresta, solo che così avremmo potuto a nostra volta lasciar cadere dei sassi e, per rispetto, decidiamo di non farlo; si decide tutti insieme di tornare verso valle e nessuno ha nulla da obiettare.
Premesso che non ho mai avuto la scimmia della cima per forza, e che per me è stata comunque una bellissima giornata passata in allegra compagnia e in un ambiente splendido, la quale non può essere guastata dal fatto che sono arrivato a 23 metri dalla cima per poi tornare indietro, vorrei però soffermarmi sul comportamento di quell’imbecille, guida alpina o istruttore che sia, che pur di passare, ha negato la soddisfazione della vetta a tutti quanti gli altri, e soprattutto ne ha messo a grave rischio l’incolumità, scaricandogli addosso decine di pietre. Imperizia, imprudenza e dolo; questo ineffabile signore, che spero mi stia leggendo, si è reso colpevole di tutte queste colpe, e qualora si trattasse davvero di un professionista, ha anche preso a calci il codice deontologico che da sempre è bagaglio imprescindibile di tutte le Guide degne di questo nome.
Non ho altre parole che disprezzo e pena. Per lui, ma soprattutto per certo “alpinismo”, ormai di moda, che antepone il risultato all’uomo e la prestazione al rispetto per i propri simili.
DATI GPS
Dislivello 1° giorno 1357 m e 12,1 km
Dislivello 2° giorno e 7,1 km
Discesa complessiva 2185 m
Communities: Hikr in italiano, Ticino Selvaggio
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